▲ Libro IV
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Libro Quinto della Prospettiva,

Di Gio. Paolo Lomazzo, Milanese Pittore.

Proemio. Cap. I.

E trita proposition d’Aristotile che quale è il fine tali debbono essere i mezzi che vi ci conducono, cioè atti, & proportionati ad ottener quel fine che ciascuno si propone; come s’io volessi salire sopra un tetto, sarebbe necessario che prendessi una scala proportionata, o altro simile stromento accommodato per salirvi. E non basta qual si voglia proportione ne i mezzi, mà bisogna che sia una proportione assoluta: altrimenti non potrebbe in alcun modo esser mezzo per condur à quel fine Di più è necessario anco che’l mezzo per essere perfetto habbia non pure questa proportione assoluta, mà anco un’altra che chiamano i filosofi ad melius esse: di modo che’l mezzo perfetto hà d’havere due qualità, l’una che possa guidarci à quel fine che si habbiamo proposto, l’altra che habbia tal bontà, & perfettione, che con nessuno altro mezzo, si possa meglio acquistare quel fine. Laqual dottrina approvata, & commune appresso tutti i filosofi, sarà il primo fundamento di tutto quello che in questo proemio hò da dire. Il secondo fundamento è che tutti i prudenti, & eccellenti artefici, trovandosi haver due mezzi, uno che hà solamente la perfettione assoluta, & l’altra che con la perfettione assoluta hà congiunta ancora la perfettione ad melius esse, debbono sempre eleggere il mezzo che hà l’una, & l’altro perfettione insieme unita; in modo tale che se per essempio m’occorre d’andare à Roma, & hò due Cavalli, l’uno che mi porters sì, mà con grandissimo mio travaglio, & disconcio, l’altro che non solo mi vi porterà, mà anco cosi agiatamente ch’io non sentiro alcun disagio, o fatica per tutto il viaggio, debbo sè voglio essere giudicato prudente, scegliere quel Cavallo che più commodamente mi page condurrà al fine del viaggio ch’io imprendo di fare. Posti questi due fundamenti, dico che’l fine immediato della pittura, & scoltura già dalla prima sua institutione, è il fare che le imagini rappresentino à gl’occhi umani la vera proportione insieme con l’altre perfettioni de le cose naturali, & artificiali, & massime de gl’huomini. Ora essendo cotale il fine immediato di quest’arte ne segue concludentemente che le imagini siano mezzo, & il fine sia l’occhio conforme al primo fondamento, & de gl’altri filosofi posto di sopra; & conseguentemente che d’Aristotile, questo mezzo, cioè le imagini siano proportionate à l’occhio che è il fine suo immediato. Et se mi dici che le imagini non rappresentano le cose naturali, & artificiali à l’occhio, mà à l’intelletto, & alla memoria, io rispondo e concedo essere il vero che l’ultimo fine delle imagini è l’intelletto, mà l’immediato l’occhio; perche come dice il medesimo Aristotile, niuna cosa è nell’intelletto che non sia stata prima nel senso; & cosi è necessario che, avanti che le imagini siano nell’intelletto humano, siano state prima nell’occhio, cioè che siano prima vedute. E se forsi mi replichi, che quantunque il fine immediato delle imagini sia rappresentare à l’occhio la proportione, & l’altre proprietà delle cose, nondimeno che’l pittore fà questo riguardando, & seguitando la medesima proportione delle cose. Imperoche essendo le cose naturali, & artificiali, la regola, & misura della pittura, & della scoltura non è ragione partirsi dalla regola, misura, & proportione che si trova nelle istesse cose, tanto più che il fine di quest’arte è seguitare la natura. Ilche non si può fare altrimenti, se non facendo, che le imagini rappresentino tutte le cose, con la maggior similitudine che si possa conseguire per l’artefice; & è certo che allhora si rappresentano con la maggior similitudine che si può, quando l’artefice seguità la proportione medesima che si trova nelle cose. Come s’un pittore vuol rappresentare à l’occhio un Giulio Cesare che per ventura doveva essere diece faccie d’altezza, senza dubbio non potrà rappresentarlo meglio, che facendo il suo ritratto di diece faccie. Perche se Giulio Cesare era d’altezza di diece, & il pittore vuole ritrarlo simile al naturale non lo debbe fare d’undici, ò di nove. Che ciò sarebbe errore intolerabile, & non sarebbe rappresentare la proportione di Giulio Cesare, mà di qualche altro di statura d’undeci, o di nove. A queste ragioni ancora che urgenti molto si può rispondere con una conclusione generale, & con una verita certissima, che niun pittore nè scoltore dee seguitare page nell’opere sue, la proportion naturale, & propria delle cose; mà debbe l’uno e l’altro seguitare la proportione visuale. Perche in somma l’occhio, insieme con l’intelletto humano, regolato con l’arte della prospettiva hà da essere la regola, la misura & in una parola il giudice della pittura, & della scoltura. Che se il pittore dipingesse solo per sodisfare, & appagar se medesimo, e non volesse che l’opere sue fossero da altri vedute, allhora potrebbe egli far le figure à suo senno, & modo. Mà procurando lui dalla pittura due cose, cioè l’utilità, & l’honore, gli convien ad ogni modo far l’opera tale che ogn’uno giudichi ch’ella sia ben fatta, & ben proportionata. E questo giudicio non si può fare se l’occhio non cede l’opera, & l’intelletto non giudica della proportione. Adunque è necessario conformarsi all’occhio, & ciò non si può fare in alcuna maniera seguitando la proportione naturale; mà bisogna del tutto che osservi la proportione à l’occhio visuale; che cosi conseguirà i suoi fini, cioè honore, & utilità. Ne dica alcuno che’l giudicio dell’occhio, si come fallace non debbia esser seguitato. Perciò che oltre che maggiormente egli falle nel persuadersi che tutti gl’altri si gabbino & egli solo scorga, & conosca il vero facil cosa sia il provare, che l’occhio in vedere la proportione, & l’intelletto in giudicarla non fallano; & cosi che l’occhio insieme con l’intelletto sono retti, & giusti giudici. Talche ad ogni modo i pittori, & gli scoltori nell’opre sue attenendosi al suo giudicio, hanno da seguitare non la perfettione naturale, & propria delle cose, mà quella che ritorna alla vista. Ora havendo tutta la nostra cognitione principio, & vigore da i sensi come nota Aristotile, è certissima cosa che l’intelletto humano, giudica della proportione delle figure, & dell’altre in quel modo che l’occhio la vede. Cosi vedendo l’occhio la quantità d’una figura, l’intelletto giudica che è di nove, o diece, o meno, o più faccie. Mà quando le figure sono discoste, & lontane, l’occhio non può dimostrare à l’intelletto la medesima quantità naturale ch’elle hanno. Onde ne nasce che l’intelletto non può giudicare quella medesima proportione. Et che sia vero che stando le figure lontane, non può l’occhio vedere la medesima quantità, si pruova per appunto con due ragioni fortissime, l’una che le figure non porgono all’occhio le sue spetie della medesima quantità, o per parlare più propriamente delle figure, l’aria non porta à l’occhio le spetie che piglia dalle imagini, quando stanno lontane con la medesima quantità individua, che hanno esse imagini; anzi sempre porta più picciola, page & più corta la quantità; quanto più l’aere stà discosto dalle cose, in modo che se poniamo ch’una imagine sia rimota da noi vinti braccia, o uno stadio, quella prima parte dell’aria che è più propinqua alla imagine, & continuata con lei prende le sue spetie, & le rappresenta alla seconda parte dell’aria; & questa seconda parte rappresenta alla terza parte le spetie dell’istessa imagine più picciole, talmente che andando sempre le spetie di grado, in grado diminuendosi, ultimamente finiscono, & non procedono più avanti per l’aria; perche arrivano à l’occhio in figura pyramidale; si che quando anco non fosse occhio alcuno nel mondo, ad ogni modo questa sarebbe sempre la natura di tutte le cose, che le spetie loro andarebbero per l’aria fra due linee non parallele; Onde necessariamente secondo la dottrina di tutti i mathematici, vengono à concorrere, & incontrarsi insieme; & cosi nel punto della intersettione finisce, & termina quello che và dietro à queste due linee. E quando ciò c’ho detto sin’hora non fosse vero sarà pur vero questo, che se le spetie delle cose si rappresentassero in tutte le parti dell’aria nella medesima quantità, che sono l’istesse cose; quasi come frà due linee parallele; come per essempio se le spetie d’un huomo di quantità di diece faccie in tutte le parti dell’aria si rappresentassero nella medesima quantità di diece; ne seguirebbe un inconveniente grandissimo, che in una cosa finita, si trovarebbe potenza infinita. Perche volendo in questa guisa che le spetie non si minuiscano mai, mà si mostrino sempre nella medesima quantità in tutte le parti dell’aria; posto il caso che l’aria fosse infinita, & nel mezzo non si trovasse alcuno impedimento; all’hora quelle spetie secondo questa opinione, si vederebbero in tutte le parti di quest aer infinita, & conseguentemente le spetie d’un uomo si stenderebbero infinitamente per quell’aer infinito; talche la cosa finito haverebbe potenza infinita, che è la maggior sconvenienza, & assurdezza che si possa imaginare in filosofia nelle mathematice, & nella Theologia. Et saria veramente cosa mirabile nel mondo, ch’un Angelo habbia la sua potenza finita, & limitata di modo che operando in un luogo, nel medesimo tempo non può operare altrove fuori della sua attività; & un huomo possa estendere le sue spetie in infinito. E nulla rileva il dire che questa sia potenza passiva; perciò che niuna creatura può manco havere potenza passiva infinita. La seconda ragione è che ne segnirebbe una cosa contro la esperienza di tutti gl’huomini, & contro l’istesso senso tuttavolta che volessimo dire che ancora che l’occhio page fosse molto lontano da una cosa; nondimeno la vedesse nel medesimo modo che la vedrebbe, sendovi pial vicino: atteso che essendo la medesima potenza dell’occhio, informata delle medesime spetie, con la medesima quantità; par quasi impossibile, che non la debba vedere nel medesimo modo, in qual si voglia loco egli si ritrovi, o presso, o lontano. Imperciò che l’esperienza verace maestrà, & giudice di tutte le cose dimostra direttamente il contrario, cioè che noi non vediamo indistintamente del medesimo modo una medesima cosa. Mà quanto più le siamo discosti, tanto manco la veggiamo. Adunque è necessario che le spetie non procedano dalle cose nella medesima quantità; mà che si vadano diminuendo. Che se pigliaremo uno specchio grandissimo, & con quello faremo esperienza di quanto io dico, ne vederemo chiara esperienza, & sensibilmente la verità, che le spetie delle cose si diminuiscono quanto più si scostano da gl’occhi nostri. Imperò che se ci appressaremo allo specchio ci si rappresenterà tutta la quantità della cosa opposta, & vi si vedranno la spetie, & l’imagine della medesima quantità, mà scostandoci più ci si veggono più picciole, & tanto più appariran minori quanto più si dilungaremo dallo specchio; talmente che del tutto non si vederanno più. Segno evidente, & manifesto che le spetie riusciscono dalle cose, frà due linee che non sono parallele, mà in figura piramidale: & cosi la non si può vedere della medesima quantità in ogni luoco. Da questa consideratione dello sfuggire che fanno in uno specchio le figure hò cavato io la regola, & l’arte di fare scortare, & sfuggire le figure in prospettiva, come ne trattaremo poi doppò questo libro, nella pratica. Perche la potenza visiva informata d’una spetie più grande giudica la cosa essere grande, & formata d’una spetie più picciola, la giudica essere piccola. Per tanto l’occhio adunque non falle in vedere, ne l’intelletto in giudicare la proportione delle cose, ma’l pittore, & lo scoltore fallano che fanno l’opere sue, affine che siano vedute dall’occhio, & giudicate all’intelletto, & procurano che siano riputate da chiunque le mira proportionate; & tuttavia le fanno contro l’arte della prospettiva, & della prudenza. Perche se fanno una imagine verbigratia di diece faccie ch’habbia d’essere collocata in loco discosto dall’occhio, & perciò habbia da perdere nè lo sfuggimento della vista una faccia, perche non debbono formarla de undeci faccie? Che chiunque la vederà, giudicherà che appunto sia diece. Et eglino vogliono trasmutare la natura di tutte page le cose create. E s’una imagine hà perduto una faccia, per la distanza del loco. Perche le sue spetie che di lontano vengono all’occhio, & l’intelletto giudichi contra l’informatione, che hanno. Mà se la spetie che gl’informa, non è maggior che di nove faccie, perche vogliono che giudichino l’imagine di diece, vuolsi fare che le spetie siano di undeci, & all’hora sarà giudicata l’imagine di diece, prima che la spetie arrivi all’occhio verrà a perdere una faccia. Adunque è bisogno che l’artefice habbia sempre avanti gl’occhi della mente questo principio d’Aristotele, & di tutti i filosofi, di considerar prima il fine, & conforme al fine procurar i mezzi proportionati, & opportuni; si che facendo l’imagine per essere veduta, & giudicata proportionata, la figuri proportionata all’occhio. Il che farà formando l’imagine tanto più grande, quanto ella viene à perdere per la distanza dell’occhio, & cosi avvertirà prima, di qual proportione vuole che l’imagine sia giudicata. Di poi avvertirà al loco dove la vuol collocare, & se la distanza la farà perdere una faccia, aggiungerà à ciascheduna delle faccie dell’imagine un poco proportionalmente; di modo che se l’imagine hà da essere di diece faccie, si faccia d’undeci, accrescendogli una faccia, & cosi l’occhio giudicara che tenga diece faccie. E se la distanza del luoco farà perdere due faccie farà l’imagine di dodeci faccie, & parerà all’occhio similmente di dieci faccie. Cosi se l’artefice farà un colosso di vinti braccia, & la testa di questo colosso, per essere troppo discosta da l’occhio, perderà un terzo di testa, hà da farlo più grande un terzo di testa, & cosi verrà all’occhio proportionata. La regola generale è questa, che quando tutta l’imagine perde, tutto quello che si perde, s’ha da distribuire per tutta l’imagine. Mà quando la testa, verbigratia, perde, & sfugge, la testa si farà più grande. Simil giudicio sarà dell’arti particolari, & tanto quanto perdono le cose, tanto si faranno più grandi. Questa è la vera arte, & la vera proportione che gli antichi, i quali furono sapientissimi, servarono in tutte l’opere sue. Per questo l’imagini della colonna Traiana di Roma, che stanno nel loco più alto, sono più grandi, & cosi tutte paiono della medesima quantità. Perche quello peritissimo artefice, le fece tanto più grandi, quanto havevano da perdere per la distanza, & lontananza dell’occhio. Per questa medesima ragione considerando Fidia, e Prassitele in quelle statue loro che sono a Montecavallo in Roma, che per essere statue grandi, le teste perderebbero per la distanza del loco, le fecero più grandi della sua proportione page naturale, & in questo modo appaiono proportionatissime. Per questa istessa ragione, anch’io, doppo c’ho trattato in un libro della proportione naturale, ho soggiunto in questo altro libro de la prospettiva, dove si tratta della proportione visuale à l’occhio, & in prospettiva. Imperò che la proportione naturale è come fondamento di questa proportione visuale. Mà dirà alcuno che quando le imagini stanno discoste si ha d’osservare la proportione visuale, & in prospettiva si, mà quando stanno appresso, si hà da guardare la proportione naturale. Al che io rispondo, che ancora che l’imagine stij d’appresso l’occhio, non si deve però in tutto servare la proportione naturale, mà è bisogno servare la gratia della figura. Et quella proportione che serà più bella à l’occhio quella si dee seguire, come hanno fatto Raffaello, & tutti i valent’huomini, nelle opere de’ quali si veggono i piedi delle figure un poco più piccioli, & le gambe un poco più lunghe del naturale. Finalmente si potranno avvertire altre particolarità nelle opere loro che danno gran gratia, & bellezza alle figure. Perche l’occhio si diletta di vedere, che certe parti del corpo siano svelte, altre siano carnose, & morbide, & alcune che serbino la proportione naturale; mà l’arte non può dar precetti di parti, che sarebbe cosa infinita. Pur, se bene considererà il lettore trovarà in questa mia tanti precetti, tante regole, & tanti avvertimenti, che se tutti gl’osserverà, assai mi fido che riuscirà valente in questa professione.

Della Virtú della prospettiva. Cap. II.

La prospettiva, come sanno tutti gl’intendenti partorisce questo, che seguendo il naturale fà travedere l’huomo, & l’inganna, mostrando una quantità picciola in maniera che gli sembra essere grande. Et questo non da altro procede che perche l’occhio non restando mai offeso per vedere in qualunque loco, o alto, o basso, o dove si voglia un corpo naturale, per essergli avezzo; questo imitando quello per la buona strada della prospettiva, ne nasce che rappresentando una quantità picciola per una maggiore, non s’offende l’occhio. Di tanta importanza è questa virtù, che non solamente fanno effetto quelle che sono benissimo intese, mà ancora quelle che non hanno gran fatto d’intelligenza, come ne ho fatto io esperienza, approvando due scorti di figure scortate per la via che potevano esser fatte, & fondate per l’intelligenza de’ maestri, page i quali facevano benissimo l’effetto, & nondimeno gli hò trovati poi falsi, & ritratti da i modelli à pratica, con velo, congraticola, o all’occhio; le quali vie tutte non sono sicure per alcun modo à far gli scorti. Perciò oltre alla fallacia del fare à pratica, non si possono vedere le profondità, & parti posteriori del modello, per essere corpo, senza le quali chi pensa di fare scorti che bene stiano s’inganna. E se bene ad alcuni pittori è parso che Michel Angelo facesse i suoi scorti ritirandogli da i modelli, nondimeno si gabbano di grosso. Perciò che egli che era intelligente di queste cose si valse dell’arte delle flessioni, & trasportationi in tutti i suoi scorti che riescono mirabili, per il loro gagliardo, & sicuro girare di membra, talmente si veggono quasi per dir cosi, anco dall’altre parti. Ne altra strada di far cotali miracoli vi è che questa, di cui si ragiona in cotesto, & più nell’altro libro. Mà passando più oltre, dico ancora che le figure nell’instituirle, & farle rispondere frà di loro hanno questa virtù; che paiono à tutte le vedute della medesima altezza, & come è la prima instituita pare che accompagnatamente si voltino dietro, facendo sempre i suoi effetti ugualmente, come vediamo nelle historie di Raffaello, & de gl’altri intendenti. Mà la maggiore, & principal virtù di quest’arte, finalmente, è che mostra la via per la quale si possano far le figure perfette, & sicure in tutti i modi, & si separa dalla scoltura senza imitare, & vederle dal rilievo. Al che pensando gli scultori, se ne andavano altieri dicendo che’i pittori non potevan fare senza modelli per vedere i lumi à conciar panni, & fare gli scorti; & simili cose, mirando solamente ad alcuni idioti pittori che sogliono valersi di questi modelli, d’onde ne nasce che non possono condurre una figura in un’anno, & conseguentemente mentre che con poco giudicio si vagliono in questo della scoltura, si muoiono di fame: giusta, & dovuta pena alla loro ignoranza. I valenti pittori non l’hanno usato, mà doppò ordinati i cartoni sicuri per le vie dette, & che si diranno poi nel discorso naturale, ponendosi un tratto adosso un panno, con quattro tratti di carbone, & rilievi, vestono la figura sicuramente disegnata, tirando le falde non à tutto nel modo che si veggono nel vivo, mà secondo la institutione della figura. E si veggono ben fatti, & probabili senza che si vedano certi storpiamenti, come eccellentemente fece Gaudentio che tenne una certa via nelle pieghe de’ panni, che altro che lui non la poteva tenere, cioè una maniera conforme alla natura, & all’arte congiunta con lei; & i lumi gli davano poi con quella page arte, con che facevano i contorni. Però che l’una consideratione non può andare senza l’altra, come sannolo quelli che lo provano. Dallaqual facilità gli sono riuscite tante opere, come vediamo, & tutte belle, & ben collocate, & intese; come à Raffaello à Polidoro, & ad Alberto Durero, pittore bench tenesse una maniera Barbara, studiosissimo, & intelligentissimo, che solo hà fatto più historie, fantasie, guerre, & capricci, che non hanno fatto, per cosi dire tutti gl’altri insieme, che tutte sono ben collocate, come si vede per il gran fascio delle sue carte tagliate da lui, con diligenza grande, & esquisita. Adunque per questo rispetto non hanno da pensarci gli scultori, che in parte alcuna la pittura habbia da servirsi per ben fare dell’arte loro. Perciò che ancora che si servisse de i Modelli, tuttavia questi sono opere della plastica, e non sue. Mà in somma il buon pittore si serve di quel modo ch’habbiamo detto sopra per il qual la pittura vien nobilitata sopra l’altre, & poi del naturale per gli panni ne’ quali si scorge perfettamente come vanno, & non in quelle tele di stracci bagnati nell’acqua, & creta, come usano molti, con lequali mai non si rappresenta un panno vero, come và. Cosi ne sono nate tante diverse maniere di panni giacenti tutti discosti dalla verità. Per il che chiaramente si puo comprendere quanto si habbiano à fuggire tali usanze, non tanto perche ci fanno gettar via il tempo, quanto che non conducono mai le opere alla verità. Oltre che di qui ne seguono poi quelle punture, passioni, & struggimenti di core, & di animo ne gl’operatori, i quali dobbiamo procurar ad ogni modo di scacciare. Perche ad operar bene, & sottilmente investigare, ci vuole chiarezza, & serenità d’animo che porta seco poi la facilità del fare, & la sicurezza dell’arte. Cosi senza essere oppresso dalle maledittioni, & punture considerando tutte le cose che ci fanno con l’occhio del discorso, si conducono le opere al suo fine perfetto nei migliori, & più certi modi. Eglie vero che queste cose non possono cadere se non nell’animo di coloro, che conoscono, & intendono tutti i primi elementi dell’arte, & tutti gl’effetti che in tutte le opere possono partorire. Cosa che ci essorta ad attendere à gli studi delle buone arti che ci sono come strade à condurci alla desiata meta; & tuttavia pregare il Signore; che i prieghi che si riferiscono à lui, sono di tanto valore che in un momento fanno germigliar concetti, & scuoprir strade facili, & ispedite, che altri che la bontà di Dio non lo può fare, co’l nome di cui cominciaro à trattare della prospettiva.

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Diffinitione della prospettiva. Cap. III.

La prospettiva subalterna, descendente, & figliuola della Geometria conchiudesi essere scienza delle linee visibili, talche il suo sogetto è la linea visibile, di cui ella ricerca le cause, i principi, gl’elementi universali primi per se, & immediate; considera il suo genere, le sue spetie, & differentie essentiali, e accidentali. Di lei parlando Gemino nobile, & antico scrittore delle cose mathematiche la divide in tre spetie, in ottica, cioè prospettiva, sciografica, & specularia. L’ottica si divide in due spetie, in fisiologica, & grammica; la fisiologica ricerca in universale i principij, le cause, & gl’elementi di tutta la visibilità, & le sue parti, spetie, & differenze essentiali, tuttavia sempre in generale; le quali sono principalmente trè. Perciò che una si chiama visibilita diretta, che tratta de i raggi diretti, l’altra riflessa, & la terza ritratta che si fa nell’acqua vetro ò simili. La Grammica, cioè disegnatrice, laquale è necessaria più che le altre spetie alla pittura, si divide in quattro parti. Perciò che, quelli che disegnano, hanno principalmente da considerare, o viste vere, & reali, o viste finte, o mentite di trè sorti dette anoptica ottica, & catoptica. L’anoptica è quella che si estende per di sopra, & s’inalza nella basa sopra l’Orizonte. L’ottica estendesi per dritto, cioè per dimezzo al dritto dell’Orizonte. La catoptica estendesi per disotto l’Orìzonte, parendo che per dabasso s’avvicini più appresso all’occhio. Mà l’eccellenza dell’artefice è dimostrar le viste finte, & mentite per reali, & vere. Ilche à pochi è concesso di conseguire compitamente, essendo adunque tutta occupata d’intorno, da scorti, concisi, decortati, scortati, oscurzati. Et queste quattro parti, si servono all’arte disegnatrice, cioè alla pittura lineare, scoltura, architettura, & alla celatura, cioè al mezzo rilievo, delquale sono spetie l’anaglifica, diaglifica, encolaptica, touretica, enctaustica, cioè smaltatoria, plastica, cioè levar di terra, o cera, overo la tonica, & paradigmatica. La seconda spetie detta sciografica tratta compiutamente delle ombre, cause, principij elementi, differenze, spetie, parti, & passioni essentiali; & rende le cause delle varietà vedute delle imagini delle cose, co’l mezzo delle distanze, lontananze, vicinità di siti, sopra, sotto, & mezzo. Lequali ragioni tutte si reggono, quanto alla lineare, sotto alla grammica, laquale con le medesime distanze, vicinità, & siti, distribuisce le linee delle superficie in qual modo page che si debbono rappresentare secondo che diremo poi. Questa sciografica con le medesime ragioni considera poi le ombre che possono partorire i corpi secondo che sono di superficie eminente, bassa, o larga. Egli è, ben vero che molti intendono, che questa sia la medesima che Vittruvio dimanda scenografica, cioè la fronte, & i lati d’uno edificio et ancora di qualunque altra cosa, o superficie, o corpo, & fannola consistere, come che in lei consista, & stia la podestà della grammica in tre linee principali, cioè nella piana, in quella che va al punto, & in quella della distanza; & dicono che di questa ne scrisse già Agatarco, Democrito, et Anassagora. Di più come s’ella contenesse tutta l’arte d’egli scorti, & delle altre difficoltà, alcuni vogliono, che i pittori ad ogni modo la intendano, sf come necessaria. Mà intendala ciascuno come vuole, io seguirò il detto ordine, & la vera, & antica diffinitione, & divisione della prospettiva. L’ultima spetie della prospettiva, la quale si chiama specularia, considera la reflessione de i raggi, & porge aiuto al artificio de gli specchi, mostrando tutte le affetioni, & gl’inganni di quelli, che diversamente si veggono secondo le varie forme loro incavate, rilevate, piane, colonnari, piramidali, orbinati, gobbi, rotondi, angolari, inversi, eversi, regolari, irregolari, sodi, & chiari. Di questa sorte di prospettiva se ne dilettò molto Pitagora, Platone, & un certo Hosteo al tempo di Augusto, come racconta Celio. Et ne scrissero assai Apollonio, & Vitellio, come di quello che mostra, per dir cosi miracoli; come si legge d’uno specchio che fra le spoglie d’Oriente portò il gran Pompeo, nel quale si vedeva uno essercito, & di certi altri che si possono fare in maniera che dimostrano in loro, tutte quelle facoltà dette di sopra. Circa alla lineare necessaria parte della prospettiva, & circa la grammica per le sue viste reali, & finte, & per le dispositioni loro, si ricerca principalmente che trattiamo che cosa sia vedere, come s’intenda, & si adopri. Dopoi seguiremo à trattar de i raggi della distanza, & dell’oggetto; e finalmente de i trà modi di vedere, & delle loro linee, nelle quali sono ora molto pronti trà gli altri pittori, scultori, & architetti, il Clariccio, il Meda, co’l Bassi, protestando che non come matematico, mà liberamente procederò, & parlerò secondo la pratica tenuta da pittori, & come hollo anch’io osservato, & fatto vedere nelle figure, cosi di corpi d’huomini in tutti i modi, come di qualunque che per arte si possa dimostrare.

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Della ragione del vedere in generale. Cap. IV.

Per quello ch’io mi ricordo d’haver letto circa alle ragioni del vedere appresso degl’eccellenti speculari, diverse, & varie sono in ciò l’opinioni, & i pareri. Perciò che Platone crede, che la vista si faccia secondo la chiarezza, cioè quella cffe viene da gl’occhi, scorrendo la luce ad uno aere estrinseco, & quella che è rivoltata da i corpi incontrando la luce. Mà quella, che stà circa l’aere di mezzo, hà faccia, che si sparge, & si rivolge alla virtù del vedere. Delqual parere è anco stato Galeno, & tutti i Platonici ne suoi commenti seguendo il suo maestro, dicono che l’occhio non vede altro che lume di sole. Perche le figure, & i colori de i corpi non si veggono mai se non illustrati da lume, & non vengono con la loro materia all’occhio. Vogliono adunque ch’un lume di sole dipinto di colori, & figure di tutti i corpi in che percuote, rappresenti à gl’occhi, & gl’occhi per aiuto d’un certo lor raggio naturale piglino il lume del Sole cosi dipinto, & poiche l’hanno preso veggano esso lume, & tutte le pitture che in esso sono. Per ilche tutto questo ordine del mondo, come dice il gran penetratore di Platone, che si vede, si piglia da gl’occhi, non in quel modo che egli è nella materia de i corpi, mà in quel modo che egli è nella luce, laquale è ne gl’occhi infusa. E queste sono le ragioni de i platonici. Mà Hipparco dice, che i raggi distesi da gl’occhi, toccando quasi con una certa palpitatione sino à quelli corpi, rendono quel che pigliano alla vista. Gli Epicurei affermano, che le sembianze delle cose, che appaiono, da se stesse entrano ne gl’occhi. Aristotile è d’opinione che le simiglianze non già corporee, mà secondo la qualità, per la alteratione dell’aere, il quale è nel circuito delle cose visibili, viene sino alla vista. Mà Porfirio dice, che ne i raggi, ne le sembianze, ne alcuna altra cosa è cagione del vedere; mà è l’istessa anima, che conosce se medesima visibile, & si conosce in tutte le cose, che sono. I geometri, & prospettivi, accostandosi à un certo modo ad Hipparco, sottoscrivono certi coni fatti all’incontro de i raggi, iquali si mandano fuora per gl’occhi, onde la vista comprende insieme molte cose visibili, mà certissimamente quelle dove i raggi s’incontrano insieme. Altro dice Alchindo de gl’aspetti . Santo Agostino tiene che la potenza delle anime faccia alcuna cosa nell’occhio. Io accompagnando questo parere con gl’altri ne’ seguenti capitoli particolarmente secondo che più pareranno vicini, & conformi alla verità page ne trattera libera, & da pittori; acciò che alcudo stitico che mai non vide una cognitione nella idea, ne mai seppe che cosa fosse adoprar stile per disegnare i concetti, mordendomi come il cane di Esopo non pensasse, ch’io parlassi fuori di figura probabile secondo il suo intelletto formato senza disegno.

Della ragione del vedere in particolare. Cap. V.

Ancora che secondo Aristotele in un loco, & secondo Platone in un’altro io habbia, come si può comprendere trattato nel primo libro delle ragioni del vedere, del mezzo, & de l’oggetto; & ancora quivi di sopra habbia riferit diverse altre opinioni, nondimeno à maggior chiarezza, & per accostarmi al Platonico Euclide, sicome à Principe, & padre di tal facultà, non voglio restar di discorrere sopra di ciò più largamente, & dirne il mio parere. Primieramente l’occhio istromento del vedere hà più spoglie, & in mezzo è il vedere, il quale riesce per uno contratto chiamato ottero insino all’estremo della pupilla, & viene dal cervello. E per quello viene la virtù visiva, & come arriva fuori i raggi si dilatano, perche escono fuori con grandissima possanza, & spessezza. Perche quando una grandissima possanza, e virtù passa per uno stretto loco, uscita fuori si dilata in qua, & in là in su, & in giù con grandissimo impeto, & velocità, in tanto che vede per la virtù propria e diritta, e non per l’acuta, e forzata. E quivi Euclide ne la sua prospettiva dice, che tutte le cose che cadono sotto il vedere non si veggono tutte insieme, volendo dire che dove il raggio diritto si forma, solamente si vede, & non estendendosi quello per gl’altrui, perche è impossibile; & per essere questo una delle radici della prospettiva, lopose per la prima propositione. Mà tornando à proposito egli si hada sapete che tutti i sentimenti procedono dalla virtù, & in ciascuna parte è propriamente; in modo, che se ella si dividesse in infinite parti, in ciascuna sarebbe tutta la virtú, come in tutte l’altre parti insieme, in quella guisa, che per essempio, si vede nell’acqua, e nel fuoco, che quella natura, & virtù ha una parte minima quale hanno tutte l’altre parti insieme, quanto à bagnare, & raffreddare, riscaldare, & ardere. Ne perciò che l’anima passando, per diversi luochi paia fare diversi effetti; come vedere andare, & simili, queste tali virtù sono in essa anima per se sola, mà escono della metà del corpo. Ilquale perche è fabricato variatamente, passando l’anima page per cotal varietà, opera variatamente insieme come il corpo; si come fà un organo il quale se ben suona come uno spirto solo, cioè come un vento, overo aere introdotto; nientedimeno con tutto che sia solo uno spirto, fà variata voce, secondo che trova i corpi vari. Et cosi tante voci, & suoni, che sono nel mondo, tutte son fatte come un aer solo; non per l’aere habbia inse tanta varietà di voci, & effetti; mà è possente à farla haver adaltri. Nella medesima maniera l’anima nostra in se non hà questi vari effetti; mà è sufficiente, à fargli haver ad altri in cose ordinate à lei; come vedere andare, & simili. Et l’aere non vede l’anima, & non hà alcuno effetto in quel modo che ella hà co’l corpo, colquale fà questi effetti, mà gli fa da se stessa, & piú facilmente, perche è disciolta; & essendo disciolta, è leggierissima, & la cosa leggiera si muove più facilmente che la grave. Però l’anima, è più veloce fuora del corpo; come, per essempio si vede il vento, & il tuono, perche è spirto piú veloce, e tutto quello che può capire in se è lo spirto, il qual capisce tutto il Cielo, e la terra; mà il corpo nel suo corpo non può capire in se un’altro corpo, per la diversità sua; dove lo spirto non hà in se corpo, & perciò può ricevere le cose corporee, & ancora le incorporee; le corporee; perche egli non occupa loco, & elle occupano; perciò ponno stare nel luoco dello spirito, non si però che possano stare in un loco che sia occupato da un’altro corpo; le spiritali, & incorporee perche non è occupato dal corporale, e fuori del corporale, ogni cosa è spirito, e lo spirito ne lo spirito, può vedere tutto lo spirito; perche non essendo occupato dal corporale vede tutte le cose, cioè corporali; poiche passa fuori per la parte corporale. Et perche lo spirito non abbandona lo spirito, però ritorna allo spirito, & porta tutte quelle cose vedute à se, quando che à arrivando trova il corpo, cioè l’occhio, & sopra di quello le ferma; perche ha veduto cose corporee, le rappresenta al corporeo; cioè à l’occhio, per il quale le riceve; & per quello giudica, perche sono simili à lui voglio dir corporee. Et perche sono due cose in una, hanno due parti in se; cioè corpo, & spirito, & perche insieme sono operano insieme; lo spirito, per lo spirito, & il corpo, per lo corpo; & lo spirito per il corpo, & il corpo per lo spirito. Lo spirito per lo corpo, percioche mena le cose corporali. Et sono menate più per lo spirito, però che il corpo senza lo spirito, non può tirare à se alcuna cosa; che volendo traherla bisogna che la tragga per lo spirito, ò per meglio dire per lo voto del spirito, cioè spiritualmente. Imperciò page che lo spirito non può trahere à se uno corpo, corporalmente; mà spiritualmente. Et questa è la parte, che opera lo spirito nel corpo. Ne lo spirito opera il corpo, per ritenere lo spirito à se, e per conoscere le cose simili à se, & per farle intendere à lo spiritoi. E quivi si conoscono le grossezze delle figure per la distanza, lequali poi si tagliano al traverso, perche l’occhio è di quelle linee à traverso, e ciascuna taglia in se medesima; & per quelle istesse linee che vanno al vedere, le riporta à se, & dentro quelle linee, pigliando di quella cosa. Dove poi tagliano quelle linee, pare minore, & maggiore, secondo che piú spetie piglia nello trasversarsi, mà ò d’appresso, ò da longi all’occhio, sempre le cose vedute ne i raggi si tagliano sopra il suo dritto; perche l’occhio è dritto; & traverso, & torto in tutti i modi traversa i suoi raggi, & per li spiritali vede lo spirituale. Imperò che niuna cosa occupa lo spiritale; poiche lo spirito non hà in se parte di occupatione; & però subito che è uscito dalle cose corporali vede tutte le incorporee, non vi essendo dinanzi le corporee; mà perche la parte corporea non è sua, perciò da quella è l’occupato, & per quella ritiene il vedere nejl’occhio. Et bisogna che quella cosa che può capire in se porga tutte le cose in quella che non le può capire. Mà perche habbiamo à trattare minutamente de i raggi, e dell’occhio farò fine di discorrere della ragione del vedere.

De i raggi del vedere. Cap. VI.

Raggi del vedere, che sono quelli che partendosi da l’occhio vanno pigliando tutte le particolarità de gl’oggetti che si vogliono dipingere, come sono le piante, & gl’angoli, le eminenze, le profundità, le latitudini, gl’intervalli, le altezze, le grossezze, e generalmente ogni altra parte che si habbi da rappresentar sopra qualunque muro ò tavola, che si sia in pittura facendo fine, e lì restando gl’interiori da gl’esteriori, overo superficiali della veduta della cosa, ritornano per diretto à l’occhio d’onde si partirono: di maniera che i raggi esteriori, havendo nella superficie d’ogn’intorno pigliato dell’oggetto, si congiungono in quella forma insieme con la sua profondità, & eminenza à l’occhio, cioè al punto con gl’interiori raggi, facendo ivi angolo. Ilquale come dice Euclide nell’ultimo la dove parla della prospettiva, secondo che gl’ogetti appaiono maggiori, formano nell’occhio angolo maggiore, & quelli che appaiono minori, minori, page & gl’eguali eguali. Et le diverse particolarità che sono nell’oggetto causano diversi raggi, iquali tornando à l’occhio formano diversi angoli, per ilche l’oggetto viene veduto ispeditamente; percioche come si può comprendere, è occupato gagliardamente dal vedere per diversi raggi; si che l’ha quasi, come cosa sua; & massime quando l’ogetto non appare molto grande. Et quindi al vedere i raggi che vanno alle profondità più basse appaiono di sopra, & quelli per dinanzi, cioè nell’eminenze, & altezze, più alti; & alcuni si fanno tutto uno, perche l’un termine del oggetto occupa l’altro, si come ne gl’altri modi di estendere i raggi. Mà di sotto al termine delle profondità i raggi pareranno sempre più alti che i primi delle eminenze. Per ilche alcuni raggi, essendo più lunghi, & altri più corti quando sono tagliati al luoco destinato, vengono à causar diversi effetti di perdite di spatij, & eminenze. Onde ne nasce tutta la ragione delle viste mentite, come si dirà al suo loco. Et perche tutti gl’oggetti paiono venire per la piramide all’occhio partiti da i raggi per ciascuna sua parte, tanto essi saranno più piccioli introdotti in pittura, quanto più i raggi saranno tagliati vicino à l’occhio, & saranno applicati alle lontananze; tanto più per incontro grandi, quanto più saranno tagliati vicini ad essi; & questi si applicano alle vicinanze benche per le picciolezze, & grandezze d’una medesima cosa ci sia un’altro ordine che al suo loco si fara palese. Tutti questi raggi s’intendono in due modi, uno per significare come diciamo hora, & l’altro per fare; & chiamasi linea laquale rappresenta, la significatione del raggio, & la dimostratione figurata delle cose con materia sottile, si che quasi non occupa loco. Et quindi nasce che l’occhio non può vedere una cosa laquale sia curva, & venga à passare per una sola linea, cioè perche perde la formal visiva corporale, si che volendola vedere, è necessario, che sia compresa da due linee almeno. Imperciò che pigliano tal quantità, in modo che l’occhio è sufficiente à vederla, perche ogni cosa grande, è compresa da più linee visuali. Mà quello che non si può vedere è come dice Euclide nella terza suppositione quello che à pena si può vedere, parlo delle cose visive, che con linee formalmente s’introducono à doversi scortare. Et d’essi raggi uno alle volte passerà per due, & tre luochi particolari dell’ogetto geometrico, & proportionato; si che per quella linea sola l’un occuparà l’altro di modo che in pittura non potranno vedersi, se non per cognitione delle sue circonstanze con la idea penetrante. Et ciò intendo page di quelli, doppò la prima che viene dal raggio, & dee essere primo termine, & la prima superficie passa per quel dritto.

Dell’occhio istromento del vedere i raggi. Cap. VII.

Essendo l’occhio tutto il fondamento della prospettiva, poiche senza lui ella non potrebbe essere, viene perciò da prospettivi dimandato centro, segno, punto, termine, & cono della piramide, che si suole come habbiam detto fare secondo la forma, & basa dell’ogetto nel vedere. Per cominciar dal primo è detto fondamento della prospettiva, perche per lui si fanno i due vederi il naturale, & rationale, in quanto che à lui semplicemente vengono per li raggi, le sembianze delle cose vedute, & quelle riceve; rationale perche in oltre considera la ragione, & l’effetto del vedere d’onde ne vien derivata la prospettiva, cioè arte di saper vedere, & sopra lui si formano i primi elementi de l’arte. E detto centro, perche à lui concorrono tutte le linee delle basi, & circonferenze de gl’ogetti, non altrimenti che quelle dal circolo al punto. Et di qui viene ancora detto segno, perche egli è un determinato loco da cui tutta la ragione della elevatione de i corpi, & loro eminenze profondità, & perdite si vengono à risultare co’l mezzo delle cose che dipendono da lui, e detto termine, imperòche per lui si determinano tutte le cose della pittura, & tutte quelle che senza l’ordinatione di esso termine sono fatte, non possono esser buone ne giuste, perciò che non sono ordinate à vedersi non essendo disposte secondo il vedere per li raggi suoi, iquali si estendono da l’occhio per di fuori per tutto. Però quelli che operano senza ordinar termine, cioè occhio al quale si habbino à riferire tutte le figure, & suoi membri certamente non sono degni del nome di pittore, mà si bene impiastratori, distruggitor de colori, & ammorbamento de gl’occhi, & confusione del mondo. Et che ciò sia di necessità, & si habbi da tenere per oggetto principale,& sostantiale dell’arte, egli si vede chiaramente; che si come tutte le cose che fi vedono si riferiscono secondo i lor colori, & forme à l’occhio, cosi tutte quelle che si hanno à far vedere vogliono mostrar il medesimo effetto, altrimenti non è possibile che si veda alcun corpo sia pur in qual gesto, & collocatione si voglia. Or queste sono le probabili pitture, & per conseguenza quelle che di questa ragione mancano sono men probabili; mà quelle poi che ne son prive, non si possono anco chiamar pitture, mà solo confusione, & empiastro fatto à caso, per gettar il tempo, & la robba page per acquistarsi poi dishonore, & con simili mascare, offendere gl’occhi purgati, non altrimenti che faccia un vaso fetido il muschio, od’uno frutto fracido i buoni. Ancora dimandato poi l’occhio cono della piramide, perciò che tutto quello spatio che è trà l’oggetto è le linee overo raggi estensi delle parti esteriori de l’oggetto, alla punta della piramide, passa, & và à finire in esso, si come in punto over cono di essa. Per ilche tutte le sembianze delle cose viste finiscono à l’occhio, si come à quello che della cognitione, secondo le forme sue, hà da dar con lo spirto il giudicio acciò che di novo ne possa partorir di simili à quello. D’onde colo ro iquali hanno gl’occhi essercitati ad essere coni di cose belle, e ben fatte; & che à l’essempio di quelle, cercano dar il moto dell’opera, cioé della rappresentatione di quelle, sono tenuti valenti pittori, per ciò che hanno talmente l’occhio atto à ricever le cose belle che le brutte rifiutando, non possono se non partorire cose belle. E per il contrario quelli che non hanno il modo di rappresentare in figura, non sanno ciò che si veggano, se è bello ò brutto se non per una certa via naturale, qual è del primo vedere, & dell’altro di sopra detto. La onde ne segue che non possono troppo bene trattare internamente della verità, & effetti della prospettiva & ragione di saper veder le cose e quelle rappresentare, & le migliori nella pittura eleggere, & disegnarle con quell’ordine che porge l’occhio ad essempio di quello con il quale trahe à se tutte le sembianze, & forme; come più minutamente diremo più avanti. Soleva Michel Angelo, quel grandissimo scultore, pittore & Architetto, dire che non valevano ne gli huomini tutte le ragioni ne di Geometria, ne d’Aritmetica, ne essempi di prospettiva, senza l’occhio cioè senza l’essercitatiove dell’occhio in saper veder & far fare alla mano. Et questo egli diceva, aggiongendovi, che tanto l’occhio si può essercitare in queste ragioni, che solamente co’l suo vedere senza più angoli ne linee odistanze si può render atto, à far che la mano dimostri in figura tutto quello che vuole, ma non in altro modo di quello, che se gli aspetta per spettivamente per vederlo. Così per l’uso dell’essercitatione fondata sopra il perfetto dell’arte, si mostra quello in figura che non possono quanti profundi prospettivi sono; ben che chi non è ne Geometra ne essercitato nel disegno non può conseguire ne penetrare ne esprimere con le sue speculationi, divisioni, pruove, tagli, & simili non lo può meditatamente fare. Perche tutta quest’arte, per dirlo in una parola, & tutto il suo fine è di saper disegnare tutto page quello che si vede con le medesime ragioni che si vede. Et nel disegnare occorrono certi tiri cause, & ragioni ne i corpi humani, che non si possono penetrare ne sapere da altri che da quelli che operamo con ragione, come frà gl’antichi fù Panfilo, Pitagora, Platone, Archimede, Euclide, Gemino, & altri; le cui opere danno segno della intelligenza che di ciò havevano. Et mostrando con quelle le sottili difficoltà della prospettiva, solamente sono per certo uso, & continua essercitatione intesi da i veri pittori, mà non già da’ prospettivi, & mathematici, senza disegno. Onde ne è venuto che niuno hà trattato di questa prospettiva, massime grammica che si aspetta al pittore; mà in certo modo generale di tutta la facoltà, lasciando il pensiero di levar la sua sorte à gl’astronomi, scenografici, speculari, fisiologici, ottici, pittori, architetti, scoltori, & parimenti à quelli, che fanno gl’horologi da sole, & che misurano il mondo dall’osservatione delle stelle. Adunque non si maravigliarà alcuno, se io trattando della prospettiva del pittore, cioè della disegnatrice, secondo i perfetti corpi, & geometrici, non farò mentione di certe cose, che parlando in generale di tutte si doverebbero toccare. E perche l’occhio non vede senza distanza, consequente è che hora se ne ragioni.

Delle distanze. Cap. VIII.

Volendo adunque dipingere alcuna cosa, dico che non si può vedere senza distanza, cioè senza spatio frà l’occhio, & la cosa che si vuol vedere. Perche se la cosa toccasse l’occhio non si potrebbe vedere, non essendovi aria frà mezzo. Et ancora se fosse troppo lontana la cosa non si potrebbe vedere; perche volendo far cadere una cosa grande in una picciola, bisogna fare che quella divenga picciola. Se adunque l’aria vuol far vedere una cosa grande à l’occhio, ò veramente l’occhio la vuol vedere; bisogna che la tiri à se mediante l’aria e i raggi de l’occhio. Perche volendola vedere, bisogna che gli concorra l’occhio corporale, & lo spiritale, & la cosa veduta, cioè l’oggetto. Ben dico, poiche si come nelle distanze, corte, & obtuse, le cose paiono trabbocare, & caderci adosso, & fare effetti disdicevoli, per incontro le troppo lunghe, & acute, al viso non danno forza alle opere, & furano troppo la vista; si come troppo ordinate. Per lequali due cose sopra tutto si hà da eleggere una distanza convenevole, laqual sarà che la persona che stà vedendo stia lontana trè volte tanto, come page è alto l’ogetto, ò facciata che si vede, e anco nelle tavole, ò figure si hà da pigliare la distanza tre volte tanto, quanto è alta la figura per dirlo cosi per ordine, de quale nel sequente libro apertamente si dirà. Questa distanza è la più proportionata à l’occhio che in tutte le opere si possa fare; & per la quale tutte le cose dipinte, appaiono nella più gratiosa maniera à l’occhio, che possa esserne gl’estremi. Et perche questa risolutione stà ne l’intelletto di colui che opera; non starò qui à renderne la ragione, con lunga dichiaratione di parole. Solo dirò, conformandomi co’l parere di Baldassar Petrucci, & Raffael d’Urbino, che volendo alcuno dipingere facciate con la strada stretta, & portici occupati da mura, non è tenuto per la disgratia che ne risultarebbe, a rappresentar quelli in pittura secondo la distanza pigliata dalle mura, mà debbe rappresentargli secondo una distanza, imaginata molto maggiore. Perche le cose dipinte, non parendo veramente sopra quel muro ò superficie, mà in parte molto più lontana per l’estensione de i raggi verranno à riuscir gratiose, & belle; dove le prime sarebbero state cadenti, & trabbochevoli2. Questo medesimo essempio può servire à tutte le altre cose, come capelle, volte, sale, & simili. Vogliono ancora i pittori vecchi, che le vedute delle pitture, per le sale ò altri luochi siano all’entrata, overo alle longhezze del luoco quando che è convenevole; mà quando è troppo longa, egli è ragione, che la distanza non si tiri tanto al termine vitioso; cioè verso à quello che per il troppo fà perdere i due effetti del veder il disegno, & il colore ugualmente generando molt’aria intraposto. Tali esperienze frà i pittori che sopra di ciò hanno considerato, che senza quella si possano formare tutte le cose, & tuttavia paiono giuste, e fatte con ragione; & trovare questa distanza detta di sopra, come più rara, & bella in tutte le opere; e conoscere per questo dove la si trova, & perciò giudicare quali siano l’opere belle, & altre simili meraviglie di non poca consideratione ci hà introdotte l’uso della distanza che certo da pochi sono state gustate. E que’ pochi che l’hanno intese, & speculate, non le hanno però ad alcuno insegnate ne scritte, salvo Vincenzo Foppa, Andrea Mantegna, Leonardo, & Bernardo Zenale, delle cui opere scritte di man loro oscuramente, però io ne hò assai veduto.

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De l’ogetto. Cap. IX.

L’Oggetto, ilquale non è altro che la cosa che ci si para avanti, & vedesi di qualunque grandezza si voglia, pur che non sia cosi picciola che non si possa vedere; non può mai nella pittura essere più verso noi di quello spatio che tiene la distanza ordinata nel precedente capitolo. Et se alcuno vi finge altro oggetto, erra gravemeente, perche egli non vi può stare; perciò che convien nella pittura, che quella prima cosa che si vuol fingere nel parete, ò tavola, sia ordinata di una conveniente grandezza; acciò che tutte le altre cose alla sua norma habbiano la loro debita, & à quella corrispondente misura. Et questa prima cosa dimandasi naturale, & và in maniera instituita che ella rappresenti essere giustamente tirata al principio del fine della distanza che si è pigliato, et da quì in là, cioè in dentro secondo la estensione delle linee, over raggi, tutte l’altre cose si minuiscano. Perciò che de l’oggetto, over cosa naturale, innanzi ogni cosa; convien che si minuisca, & da indi in quà non può fare niente; eccetto che volendovi fare alcuna cosa, bisognarebbe porvi, rompendo la prima distanza, il senso, & l’ogetto primo delle maggiori, tal che si facesse minuir quello che era principale, cioè parer minore. Perche movendosi la cosa dal luoco più in quà, overo più in là sempre minuisce, ò cresce. Et però facendo di quà da l’oggetto naturale, & fine della distanza alcuna cosa, converrebbe, come hò detto, farla maggiore del naturale. Mà questo non è nel vero, & non essendo nel vero sarebbe falso; mà ponendo il vero più in quà, quelle di là già fatte grandi, come il naturale, perdono, & divengono minori del naturale, & paiono maggiori, perche sono più verso noi, mà non paiono però maggiori di quello che sono.Et se ancora sono più appresso, queste pareranno ancora maggiori dell’altre, mà non pareranno mai maggiori di quello che sono. Or tutte queste cose si possono fare, perciò che la distanza si può far maggiore, & minore quanto si vuole; & ciò è perche da l’occhio alla cosa vista, frà quel termine, per tutto è quella cosa, & dove tagliasi overo si traversa quello spatio, la cosa diventamaggiore, & minore secondo che si vuole; mà la vera distanza, deve esser quella che è introdotta come hò detto; & questo fà esser incorrottibile; acciò che l’oggetto ordinato co’l suo debito ordine, non habbi da portarsi in qu`, ne in là, à guisa di vagabondo. Tal che queste cose vanno benissimo essaminate da principio avanti che page si operi, ò facciasi cosa alcuna; & cosi considerar le perdite de gl’oggetti, che possono occorrere, poi de gl’acquisti, non ne possono havere come di quà habbiamo avvertito. A che fare bisogna molto bene instituire, & con ordine al suo taglio, over linea dello scorto, laquale dimando io quella delle facciate, & tavole cateta, e perpendicolare laquale fà tutto il giuoco, si come quella à cui si tirano tutti i membri, & corpo, dove ne diventa la scortata.

Dell’anoptica prima vista, over linea reale, & soprana . Cap. X.

HAvendo delle prime cose necessarie alla grammica prospettiva, che à noi pittori s’appartiene discorso, seguita in questo luoco che della prima sua veduta, cioè di quella che s’inalza sopra l’Orizonte, over media, ò diritta linea, si tratti. L’officio suo principalmente consiste in considerare tutte le parti de l’oggetto collocato per disopra all’Orizonte; si che ella co’ suoi raggi conduce quelle al taglio over linea del taglio, o scorto & quindi, secondo la collocatione del corpo, fa le parti profonde e posteriori scadere da basso, e le più eminenti alle volte restar di sopra alle altezze, d’onde si vengono à generare le perdite gl’acquisti, le cadute i rimbalzi delle membra del corpo introdotto. Questa linea Anoptica si come comincia nel centro cioè nel principio della distanza, over occhio, o punto che si voglia chiamare, cosi à quello ritorna per tutti i suoi raggi over linee che hanno congiunti tutti i termini del corpo perfetto. Et però puossi tagliare dove si vuole, mà il vero taglio però è sopra la cateta linea, alla quale finisce over comincia la distanza contro all’occhio .

Dell’ottica seconda vista overo linea reale, & media retta: Cap. XI.

LA seconda vista reale della Grammica è quella che é più vicina all’oggetto; si che le parti dell’oggetto superiori appartengono alla vista sopradetta & le inferiori alla Catoptica. Questa vista adunque non s’intende in altro che in quella per cui tutti i corpi principalmente si attingono cosi co’ suoi raggi over linee, per tutte le sue parti, come per la soprana e bassa; & perciò si dimanda diritta. Per ciò che partendosi dall’occhio fermamente, & aggiongendo alla più vicina parte dell’oggetto, quivi termina, & cagiona che le più alte sue parti & le più basse & profonde si vengono, page à perdere & scemare, & l’eminenti ad occupar le concave, e le larghe le strette; facendo sfuggire e crescer esso oggetto per intervalli e spatij per lei e per altre causate nel cateto dal ritorno de i suoi raggi (di che ne nascono le difficoltà) & anco la forza, & bellezza dell’arte, facendo vedere come non si può nella pittura fare pur un membro che si possa misurare superficialmente, se non con quella ragione con che egli fù introdotto à sfuggire, & scortare per ogni verso. Parte che malamente da molti è intesa per non dir da pochi.

Della Catoptica, terza vista over linea reale, & bassa Cap. XII.

La terza vista è quella che tutte le parti per dabasso dell’oggetto introdotto per dipingere, và co’ suoi raggi attingendo, & le mena al taglio: & cosi ci fa vedere se è per da basso, cioè sotto l’occhio le parti posteriori levarsi, & le anteriori abbassarsi; & per le uguali, quando l’ottica attinge un corpo per di sopra rende le profondità seguenti sole piane, cosi davanti come per di dietro, & poi le più alte, comincia à guisa della suprema à far discendere le posteriori & inalzare le anteriori, & alcune eminenze superar le altezze. Et cosi co’ suoi raggi si congiunge à quelli più alti della centrale over media, la quale con la soprana poi si congiunge. Si che possiamo comprendere, che queste tre viste reali s’intendono in tutti i modi secondo che gl’oggetti sono o alti o bassi, i quali per le lor parti assignate realmente portano al taglio nel grado che gli trovano, ne più oltre si estendono. Perciò che quel fascio, che si aspetta al resto, lo lasciamo alle viste mentite, o finte, le quali benche in vero siano se non una sola, pure dalla varietà dello scortare, & dicortare, chi fanno, si possono chiamare suprema, perpendicolare, superiore nel cateto, media, & bassa, & oltre ciò dal suo mirabile effetto in fronte.

Della prima vista mentita, suprema perpendicolare. Cap. XIII.

Nella seconda parte della Grammica convien trattare delle viste mentite, & prima della suprema perpendicolare, laquale considera le ragioni di portare le intersecationi al luoco destinato per far lo scorto, che furono ordinate da prima nella cateta per le parti di sopra: & cosi ella ci rapptesenta in piccioli spatij le figure daldisotto in sù nelle volte à perpendicolo, facendoci vedere page le parti di sotto in certo modo perfette, & cosi anco quelle da di sopra. Mà quelle che sono al longo per lo piú si scortano di maniera, che questa tal figura si dimostra più larga che alta, & opera dentro questa meraviglia, che la ci fà parere grande, come se cosi veramente fosse. Dellaqual maniera é il Dio Padre, di mano del Pordonone in cima al Tiburio di Santa Maria in Campagna di Piacenza, & furono già in Milano quattro Evangelisti, in Santa Maria della Scala di mano di Bramante iquali si vedevanno sedere con artificio mirabilissimo dal disotto in sù, & futono poi cancellati quando tutta la chiesa, per commessione di certo Economo che non havea gusto, di buone pitture fù imbiancata. Che di vero fù gran danno à spegnere cosi bella memoria d’arte, in modo che non se ne vegga pure un minimo schizzo od orma di disegno.

Della seconda vista mentita obliqua. Cap. XIIII.

QUesta vista over ragione di linee, partendosi dal termine di tali linee ci fà vedere à suoi luochi gli scorti obliqui, cioè quelli che nelle volte delle capelle si possono fare non ne i quadri, mà ne i semicircoli, & simili; come sono i tiburij, ó le truine. E quinci fà vedere al dispetto delle volte le figure, & gl’altri corpi giustamente, in piede come se veramente non vi essendo il volto fossero. Si che facendo vedere il volto, non rompe in alcun modo quello per far parer la capella aperta al vivo Cielo, overo con altre finte introdotte come si suole. Questa via di scortare, e la più più difficile che sia, per che non solo bisogna star co’ raggi, mà non bisogna pur d’uno punto errare, come nel seguente libro si dirà, & le cose che si fanno per alto, non ponno star à basso più d’un palmo. Mà perche intorno à ciò sarebbe troppo che dire, e pur non sarebbe mai troppo bene inteso, bastarà apportar alcuni essempij di questa vista mentità per maggior chiarezza. De quali uno si vede in Milano à Santa Maria del Carmine, in una capella della vita della Maddalena, di mano del Zenale, Il volto della quale è fatto di questa maniera, & hà molti Santi assisi sopra i corniccioni che sono di mano d’Agostino Milanese. Un’altro n’è in Parma di mano d’Antonio da Coreggio d’un ascensione della vergine con terribili figure intorno, che scortano al medesimo modo.

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Della terza vista mentita superiore. Cap. XV.

PEr questa veduta tutte le figure ò corpi che sono sopra l’occhio si mostrano per le parti da basso, ò più, ò meno, secondo che sono in alto sopra la parete all’orizonte. Per ilche le parti di dietro scaggiono, & quelle davanti sagliono in alto, & alcun membro occupa l’altro. Onde si veggono meraviglie di spatij grandissimi, spargimenti di braccia in fuori; perdite di gambe, & simili. Finalmente in queste maniere di figure non si veggono le parti per disopra se non in caso che molto s’inchinassero per davanti. Chi desidera veder figure di questa maniera vegga in Milano nella strada de’ Maravegli, vicina al Castello, una facciata assai grande di certe historie Romane, dipinta di mano del Troso da Moncia, allaquale è quasi impossibile ch’altro possa aggiunger giamai. Perche ella è miracolosissima cosi per le figure, come per l’architettura, & prospettiva che è stupendissima. Veggasi anco di mano di Bramantino in Milano, la facciata de’Latuadi andando verso la porta Beatrice, & un’altra del medesimo in Porta Orientale; & in Santa Maria di Bari, sopra l’ante dell’Organo, & la testa della Chiesa. Et vegga in Mantova appresso del Duca il Trionfo di Cesare di mano di Andrea Mantegna . Lequali opere tutte sono fatte per ordine, & con intelligenza. Veggane anco essempio in Santa Maria delle Gratie di Milano, nel convento nelle teste de’ claustri in molte Historie sopra l’occhio di mano di Bernardo Zenale, & dell’istesso le ante dell’organo dove è dipinta una Annunciata in Santo Simpliciano di Milano.

Della quarta vista mentita mezzana. Cap. XVI.

LA vista over linea mezzana s’intende quella, che rende un corpo in maniera, che gli si vedano le profondità da basso inalzarsi per di dietro, & quelle di sopra abbassarsi per di dietro. Per ilche bisogna che in diritta vista gli vada à riferire, in qualche parte del corpo, come circa al mezzo. Questa è la manco scurzata che sia; & nondimeno considera tutto il difficile, che considerano le altre. In questa è dipinta in Santo Francesco di Milano, la capella di Santo Pietro e Paolo, di mano di Bernardo Zenale; & del medesimo, e di Bernardo Buttinone Milanese intelligentissimo di queste cose, nella medesima Città una capella della vita di S. Ambrogio, nel Tempio di San Pietro Giessato di page Bramantino un Christo tolto di Croce, parimenti qua in Milano, sopra la porta della Chiesa del Sepolcro: & sopra il tutto di Raffaello in Roma, nellequali historie tutte si vede il mezzo l’alta, & la piana tirati all’occhio, giustamente si come hanno fatto tutti gl’altri eccellenti.

Della quinta vista mentita inferirore. Cap. XVII.

TUtte le figure che si veggono per disopra, ò poco, ò assai sopra una faccia, cioè sotto l’Orizonte, da questa vista vengono formate, & ella ne rende la ragione, perche siano cosi fatte. Fà levar loro in alto, & calare le parti posteriori, & le anteriori crescere, & abbassare: & per da basso fà veder quello, che per alto fà veder all’incontro la superiore; nel resto ella seguita l’ordine delle altre, & hà la medesima intelligenza ancora che gl’effetti siano diversi: & in questa vista sono le tre historie di Michel’Angelo, dipinte nel Vaticano in Roma, cioè il Giuditio di Christo, & Santo Pietro tirato in Croce, che tutte due sono nella Pavolina.

Della Sesta vista mentita profonda overo intrante. Cap. XVIII.

QUesta vista per tutte le facciate ci fa vedere i corpi distesi per terra in scorto, cosi co’l capo in quà, come co’ piedi in là, & sono quelli che paiono totalmente entrare nel muro, facendosi nel medesimo loco, per essempio, al dritto dell’occhio, cio che fà la figura introdotta per la prima vista nellevolte à perpendicolo. E di questa maniera s’intendono quelli che seguono il piano, si che per d’alto non si possono vedere; mà solamente per il dritto, overo per da basso, che miri le teste delle genti, che sono d’intorno al piano, ò veramente in coloro che sono sopra i monti, ò torri, che mirano giú al basso, & cosi tutte queste cose si cavano per cotali viste, ò vogliam dir linee, & ce le fanno vedere, & ne sono per rendere la ragione per quella medesima via, che esse le instituiscono mediante le flessioni, elevationi, volgimenti, riferitioni, profili, & simili, de quali lungo fora il dire, per essere cose oscurissime à trattare. Basterà per levar il tedio à lettori mostrarle chiaramente in pratica nel libro seguente.

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Delle flessioni. Cap. XIX.

LE flessioni dimando io quelle virtù, che porgono per le loro particolarità de i membri i corpi, & proportionati à gl’altri corpi per trasparere l’una quantità in un’altra, come in parte insegna Alberto Durero nel terzo della sua simmetria. Et da queste poi con l’arte delle minutioni, di cui in parte s’è detto di sopra, se ne tranno gli scorti perfetti. Mà in quanti modi si facciano queste flessioni si può considerare da gl’atti del corpo humano. Perciò che essi si mostrano alla nostra vista in piedi, diritti, per faccia, per fianco, per schiena, & per obliquo, cioè in uno occhio, & mezzo; & ancora per le parti di sopra, & per quelle di sotto distesi. Di più si possono mostrare in piedi curvati, per davanti, in faccia, in profilo, in obliquo, & in schena; & curvati per di dietro medesimamente in tutti questi atti; & ancora per la destra, sinistra, davanti, e di dietro. Finalmente da tutti gl’atti si denominano le flessioni; perciò che non vi è membro alcuno, che non habbi bisogno della flessione d’un’altro per farsi con ragione proportionalmente. Et per queste si fanno tutti i corpi in qualunque atto si vuole, non dico già in scorto, cioè che le membra perdano, & acquistino, mà dico in loro proportione; come hà mostrato Alberto in diverse teste, & figure, dove chiaramente con tal ordine mostra à portar una quantità in un’altra, & à formar faccie, che sguardino all’in su, & altre all’ingiù, in obliquo, & altre in faccia dalla ragion delle basi de i membri, & simili ragioni. Onde si vede, che non bisogna ch’uno pensi di far una figura senza scorto proportionata, che non faccia flettere in quella della Virtù, di quello che si vuol fare in profilo levandolo dalla faccia, ò schena; & questi altri dal profilo, non posando giamai l’un membro per di sopra per disotto all’altro, Nelle oblique parimente dalle oblique si levano, mà più certamente dalle basi. E benche molte altre ragioni, e vie ci siano sopra di queste flessioni naturali massime per transferirle in prospettiva dove si gli vuole uno intelletto profundo; nondimeno mi risolvo di tacerle per hora, perciò che s’aspettano più al disegno che alla scrittura, si che sarà meglio à passare alla levatione.

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Della levatione de’ corpi sopra la linea piana. Cap. XX.

NIuna levatione di corpi si può fare, se non è disposta in profilo, & mostrata nel piú commodo modo in che veder si possa sopra quella linea ch’io dimando piana, cioè quella, che è doppò il taglio per di sotto ò per disopra. E benche si possa far in altro modo, pure seguirassi questa. Hora questa linea, e quella nella quale si contengono le basi di tutti i corpi, che si hanno da levare; & secondo che ella è bene disposta, tale ci è de l’opera. Si che bisogna molto bene avvertire à tutti i profili d’elle; acciò che habbiano à mostrarsi benissimo. Perche questa è tutta la radice, & il fundamento de i corpi, cioè della sua pianta; & quella che non lascia che nelle historie un corpo occupi l’altro; ò ch’una cosa si ponga dove non possa stare; ne ch’uno si faccia più grande di quello che deve essere; ne che i corpi paiano sospesi in aria, ò fitti sotto terra nelle cave; ne ch’uno stenda le gambe, ò faccia passo più largo di quello che può fare ne simili sconvenienze lascia intravenire. Mà co’l metodo, & regola di lei si fanno l’opere perfette, si che sfuggono per li suoi gradi tutte le cose, & ciascun corpo hà le sue debite perdite, & acquisti. In queste levationi si vedono in profilo molto grandi rispetti à gl’huomini le lontananze de gl’edifici, & le lor grandezze, & picciolezze secondo le proportioni di tutti i corpi. Per ilche poi essendo dalle altre viste levate, & aiutate come si deve all’atto del vedere, si mostrano senza pur un fastidio, ò timor d’errare perfette, & se non perfette per altro almeno per questa parte, nellaqual consiste la prima forza dell’arte, nella quale Andrea Mantegna, & Bernardo Zenale, furono eccellenti. Et questo sia detto delle levationi sotto cui si può considerare tutto il rimanente che si gli appartiene. Hor facendo fine alla prospettiva, cioè modo di vedere, & collocare le cose secondo la ragione, dirò alcune cose dell’altra maniera di prospettiva bastarda; acciò che non resti intatta alcuna cosa di quello che hanno insegnato i nostri antichi; & usato anco nelle loro opere.

Della prospettiva in generale, secondo Bramantino pittore prospettivo, & architetto. Cap. XXI.

SOvviemmi d’haver già letti in certi scritti alcune cose di Bartolomeo chiamato alcune cose di Bramantino Milanese, celebratissimo pittore page attenenti alla prospettiva, le quali ho voluto riferire, & quasi intessere in questo luogo; affine che sappiamoqual fosse l’opinione di cosi chiaro & famoso Pittore intorno alla prospettiva, non imitando in ciò la malignità d’alcuni, che tengono sepolte le fatiche altrui per farne à se stessi honore: ancora per adesso io non mi risolva di voler publicare un trattato di prospettiva che compilò, & scrisse di sua mano Bernardo Zenale nell’anno della gran peste, & l’intitolò à un suo figliuolo, il quale io tengo appresso di me, ben prometto di dar fuori una volta certa opera vecchia di Vicenzo Foppa Milanese, nella quale, oltre quello che à di lungo, ne scrive un sono anco gli schizzi fatti con penna, si che si comprende quasi tutto ciò che hà trattato poi in gran parte, Alberto Durero nella sua simmetria. Anzi di quei, con sua pace, hà egli cavato quasi ciò che ne scrive. Per ciò che oltre le altre belle cose vi si veggono anco quelle teste che scortano l’una per l’altra cioè sono trasportate in quantità, le quali medemamente hà poi anco trasportato di peso Monsignor Daniel Barbaro nella sua prattica di prospettiva nella ottava parte, la dove parla della misura del corpo humano & della pianta della testa. Má tornando da capo scrive Bramantino che la Prospettiva e una cosa che contrafà il naturale & che ciò si fà in tre modi, uno con ragione, & l’altro senza ragione ma solamente con pratica, & il terzo mescolatamente con pratica e con ragione. Circa il primo modo che si fà con ragione per essere la cosa in poche parole conclusa da Bramantino in maniera che giudico non potersi dir meglio contenendovisi tutta l’arte dal principio al fine io riferirò per appunto le proprie parole sue,

Prima prospettiva di Bramantino. Cap. XXII.

LA prima prospettiva fà le cose di punto, & l’altra non mai, & la terza più appresso. Adunque la prima si dimanda prospettiva, cioè ragione la quale fa l’effetto dell’occhio, facendo crescere, & calare secondo gl’effetti dell’occhi. Questo crescere & calare non procede dalla cosa propria, che in se per esser lontana, overo vicina per quello effetto può crescere & sminuire, ma procede da gl’effetti de gl’occhi, iquali sono piccioli, & perciò volendo vedere tanto gran cosa, bisogna che mandino fuora la sua virtù visiva, la quale si dilata in tanta larghezza, che piglia tutto quello che vuol vedere, & arrivando à quella cosa la vede dove è: & da lei à gl’occhi per quello page circuito fino all’occhio, & tutto quello termine è pieno di quella cosa. Per ilche tagliandola in diversi luochi par maggiore & minore, secondo il taglio che si fa; quantunque non si movendo dall’occhio guardandola nel suo loco, sempre parerà ad un modo. Et par maggiore & minore per più rispetti; prima per la cosa portata, la quale tira innanzi, & in dietro. Onde mettendo la cosa appresso par maggiore, & mettendola da lontano par minore per quel mezzo che taglia, & perche si taglia in diversi luochi pare maggiore e minore, come si comprende appresso di noi. Et questo procede; perche si hà la fantasia dove si taglia con quella cosa portata. Per ilche pare maggiore una cosa & minore, per essere appresso all’occhio, & distante da quello. Ne però quella si sminuisce per essere lontana overo appresso, ma procede dallo star dell’occhio, il quale pigliando più o meno della cosa considera quella essere maggiore & minore. Perche quella che è più lontana manco ne piglia e per questa via si possono vedere & fare di molte belle cose. Et sappiasi che questa prospettiva, che si fà per ragione, misura, & ordine, si essercita con il sesto, & la rega, & con la regola di detta prospettiva, cioè braccia, oncie, minuti, pertiche & miglia. Et niuna cosa si fà di cui non si sappia la grandezza appresso o lontano, & precisa ogni sua parte.

Secondo modo di prospettiva di Bramantino. Cap. XXIII.

L’Altra seconda parte si fà senza misura alcuna cioè ritrando overo imi- tando il naturale, overo facendo di fantasia. Di questa sorte si trovano più pittori che d’altra, & però tenuti valenti, perche fanno fatica in imitar il vero minutamente & secondo quello fanno delle fantasie, ma pur nelle opere loro si veggono di grandi errori che non commettono gl’intelligenti della ragione del vedere & dell’operare come ho detto.

Terzo modo di prospettiva di Bramantino. Cap. XXIIII.

LA terza parte si fàcon la graticola, overo in loco della graticola si mette un vetro fra’l pittore & la cosa vista, & guadarsi nel velo. Et quello che batte nel velo si và contornando overo profilando sopra’l velo, stando fermo ogni cosa. Perche movendosi una delle parti saria falso poi tutto quello, che fosse fatto, se non si tornasse come ptima al suo loco. Et con questa graticola si può far maggiore & minore la cosa che si imita secondo che lei appresso essa graticola

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cosi tira più indietro, haven do uno carbone di capo ad una comma. Et questo ancor che sia difficile, è buonissimo per ritrare, perche fa vedere più chiaramente la cosa dubiosa. Con questa graticola ancora, ma che i fori siano più larghi che alti quattro, o sei, o die ce volte tanto, si possono fare di quelle fantasie che nel seguente libro si diranno.

Il Fine del Quinto Libro.