▲ Libro III
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Libro Quarto de i Lumi,

di Gio. Paolo Lomazzo Pittore Milanese.

Della virtù del lume. Cap. I.

SOno di tanta forza & virtù i lumi nella pittura; ch’io giudico ch’in quelli consista tutta la gratia essendo ben’ intesi, & per il contrario la disgratia quando non sono intesi. Del che ne veggiamo chiara l’esperienza in un corpo ben disegnato, ilquale senza i lumi benissimo riesce in quel suo essere, & dimostra l’eccellenza sua. S’avvien poi che senza ragione, & arte sia allumato, talche confusamente poi siano poste l’ombre dove si ricercano i lumi; per il contrario i lumi in parte dove andarebbono i mezzi d’ombre, & ancora parte nelle concavità e superficie alte senza ordine, & imitatione del naturale, si riduce à [tal’che] meglio sarebbe che non fosse nè dissegnato, nè allumato. Dove essendo poi bene allumato non solamente si aggiunge perfettione al disegno; mà rende spiccato dal piano o suolo non altrimenti, come se fosse rilievo. Nella qual forza, & virtù stà, & consiste principalmente la suprema eccellenza del pittore; per essere quella parte sua propria di far le figure finte tanto rilevate per le percussioni de i lumi quanto sono rilevate d’intorno quelle dello scultore per cagione della materia laquale (come tutti sappiamo) à alto, & basso destro e sinistro anteriore, & posteriore. Per ilche sogliam dire che ne’ marmi è quella cosa che si imagina lo scultor di fare, & và poi intagliando, & formando o bene o male, Or tornando à parlar de i lumi, più dico che quantunque essi habbiano quella forza che di già hò detta di levar la virtù al disegno; non perciò la virtù loro gli può essere levata dal disegno. Onde veggiamo ch’essendo sparsi tutti i lumi perfetti e proportionati sopra un corpo, il mal disegnato e senza muscoli, porge maggior diletto à i riguardanti, eccitando in loro un certo desiderio di vedere anco in quel corpo i muscoli, & l’altre sue parti necessarie; come nelle pitture di Bernardo page Zenal e Triviliano, qual e la bellissima Resurrettione di Christo, dipinta nel convento della Chiesa delle Gratie di Milano, di sopra una porta, & molte altre sue historie colorite; & di chiaro e scuro nell’istesso luoco, nellequali si veggono figure, per rappresentarvi la prestezza fatte senza muscoli, e non ricercate; come doverebbero; mà però ben collocate, & co’ lumi à suoi luoghi con artificio disposti si che paiono di rilievo; tanta forza, & furia tengono da se istesse; & così vi si scorgono maravigliosi scorzi, tutto effetto della regolata dispositione de i lumi senza laquale que’ disegni perderebbero assai, & rimarebbero in gran parte senza gratia ancora che fossero ben collocati. Cosi vediamo ancora che molti pittori, privi affatto dell’arte del disegno, solo con certa pratica di dare in parte à’ suoi lochi i lumi, sono riputati valenti, laqual lode però ragionevolmente non doverebbe esser concessa loro, perche non hanno ne arte de prospettiva per laquale si vedano nelle fatture loro colorimenti, ò atto, se non colori, & certi primi lumi; nè fingono alcuni de i lumi. Or per essempio della vera arte di disporre eccellentemente i lumi ci potrà servire in vece di tutti quella tavola di Leonardo Vinci oltre molti altri suoi disegni allumati, che è in Santo Francesco in Milano dove è dipinta la Concettione della Madonna, laquale in questa parte per non trattar qui dell’altre sue eccellenze e mirabilissima e veramente singolare. Per eccellenza de’ lumi sono non meno maravigliosi, due quadri di mano d’Antonio da Coreggio, che si ritrovano in questa Città appresso il cavalier Leone Aretino. Nell’uno de’quali è dipinta la bella Io con Giove sopra una nube, e nell’altro Danae, & Giove che gli piove in grembo in forma di pioggia d’oro, con Cupido, & altri amori, co’ lumi talmente intesi; che tengo di sicuro che niuno altro pittore in colorire, & allumare possa agguagliargli, i quali furono mandati di Spagna da Pompeo, suo [sigliuolo] statuario. Ne i lumi sono parimenti stati eccellenti, & divini Michel’Angelo, & Rafaello padri & Maestri della pittura, alla cui scuola si può ben dire, che quasi tutti gli eccellenti pittori d’Italia si siano fatti valenti, & famosi. Poiche adunque di tanta virtù, & pregio sono i lumi, con ogni studio, & industria si hà d’attendervi per haverne perfetta cognitione, & arte; & accompagnarla co’l disegno nel modo che ho detto ancora che l’arte della proportione collocatione, & scorto di poco può servire, & dar lode al pittore, senza la cognitione de gli istessi lumi ritruovati con ragione, & con arte, e non cavati per semplice page imitatione da’ modelli, e rilievi, sotto la falsa scorta della vista, senza ordine di distanza, si come ancora nelle linee e superficie de’ corpi. Imperoche riescono falsi, & di tutto punto [contrarijà] quello che ci è prescritto dall’arte. E questo è quanto mi è paruto di dovere principalmente avvertire in questa parte. Cominciarò hora à dar principio al trattato d’essi lumi con la guida di quel che illumina le menti, & gli intelletti di coloro che gli si riconoscono con mente pura, & preparata à ricevere cosi divino raggio.

Della necessità del lume. Cap. II.

[EGliè] appunto sin qui tutta l’opera disegnata, motuata, & colorita senza lumi; come un corpo senza luce, che non si può comprendere s’egli sia o tondo, o quadro, se non per intelligenza, cioè per la cognitione che si hà di lui interiormente; mà non esteriormente, essendogli nascosta la luce esteriore, che corrispondendo all’interiore fà conoscere per mezzo de i raggi degli occhi, & vedere all’intelletto come per due soli le diversità de i corpi per gli ricevimenti che essi fanno della luce ricevuta secondo la natura loro Però seguirò trattando d’essi lumi, non dico delle ombre ancorache si tratti insieme di loro. Imperoche le ombre vengono in necessaria consequenza dei lumi, essendo causate da gli sfugimenti d’essi lumi; e pigliando tanto più forza, quanto più il lume percuote maggiormente sopra un corpo. Dal che ne nasce quel grandissimo rilievo, & elevatione dal piano naturale nel corpo che riceve la luce secondo la natura sua. Et di qui si conoscerà anco quanto essendo diversi i corpi, diversi ancora si generino i lumi, i reflessi, & la retrattione d’essi lumi per la natura loro; diversificandogli nel modo che si dirà. Con che si verrà à vedere quasi il fine dell’arte. Perche senza questo non ordini, non forme, non proportioni, non moti, non compositioni, e finalmente non possono le figure havere la loro perfettione, à guisa di corpo senza situatione, over senza spirito; o à guisa di stelle simili al vetro, senza il lume del sole, che secondo la la qualità loro le fá risplendere, & apparere à gl’occhi nostri. Mà per dar principio à quanto ho promesso, cominciarò à trattare ciò che sia lume; & doppoi con l’aiuto della fisiologica, & dell’ottica, prima parte della prospettiva, tratterò in generale de i lumi primarij, & secondarij; e del lume diretto, & riflesso; e come, & in qual modo con ragioni mathematice molti lumi si veggono diversi, page per cagione della varietà de i corpi; & finalmente delle qualità delle cose appartenenti; come si potrà intendere in tutte le cose, & ne gl’istessi elementi.

Che cosa sia lume. Cap. III.

QUesta parola di lume si piglia in diversi modi, & significationi. Prima, & principalmente significa l’imagine della divina mente che è il figliuolo d’Iddio; & unico splendore suo, ilquale chiamavano i Platonici, imagine della divina mente. Significa ancora l’ardore dello [Spititosanto]. Pigliasi per una virtù divina diffusa nelle creature che nella rationale è la sua divina gratia, & in tutte le creature insieme è la virtù conservatrice, & difenditrice, come è quella, secondo Dionisio, dei Serafini. Ne gli Angeli poi si fà specialmente intelligenza, e un cotal gaudio eccedente ogni nostro pensiero, diversamente però ricevuto secondo la natura della intelligenza che lo riceve, & in lei, come dice Marsilio, & Ficino sopra Platone si riflette. Discendendo poi alle cose celesti, dove si fà copia di vita, è una efficace propagatione; & un visibile splendore nel fuoco, & un certo vigore, & accidente uscito dalla natura [sna]. Finalmente ne gl’huomini si piglia per il lume dell’intelletto agente, che illumina il patiente o possibile; & in somma per un lucido discorso di ragione, & una cognitione delle divine cose. Pigliasi ultimamente per una qualità uscita dal Sole, o dal fuoco che scuopre il colore. Et questo lume è come vogliono i Peripatetici, la causa o ragion formale per laquale si veggono le cose colorite; le spetie, overo imagini della quale passano alla fantasia e spetialmente illuminano gl’occhi, ne’ quali si forma una imagine che prima passa al senso commune, poi alla fantasia, & finalmente all’intelletto. Il medesimo lume si diffunde, & estende ne’ corpi, che se gli affacciano, ne’ quali si scuopre il colore, & una risplendente bellezza, come dicono i Platonici, de i corpi opaci, cagionata da questo lume insieme con una certa virtù benefica e generante. Mà là dove i raggi non s’avvicinano, & si spargono ristringendosi ne gl’occhi i raggi, rimane un color caliginoso, ilqual afflige l’animo, & tormenta. Si che tutte le cose secondo la loro capacità sentono il vigore della luce, laquale congiungendo à se quanto è di cose concreato co’l vivifico calor suo, & penetrando per tutto conduce per tutte le cose le qualità loro, e virtù. Onde usano de gl’intelligenti dell’arte di dar lume ad ogni cosa in un medesimo modo; poiche si vede ancora che’l page Sole quando è levato sopra il nostro orizonte, & emispero illumina il tutto in uno instante senza tempo. E la cagione è perche la luce non ha verun contrario, ilquale la possa impedire con lasua attione. Però ella fà l’operation sua in un momento nell’aria. A questo proposito appartiene quel che dicono i filosofi delle tenebre della notte che non sono causate d’alcun color nero ò fosco che tinga l’aria, mà solamente dall’occultatione del Sole che con chiarezza, & presenza sua, senza resistenza illumina con ugual luce tutto l’aere del nostro emispero; & illuminarebbe ancora nel medesimo modo tutta la terra, & tutti i corpi composti di terra, s’ella, & tutte i corpi fussero lucidi, & trasparenti, come l’aere. Mà quando sono opaci, crassi, & corpulenti non ricevono la luce con tutta la sua chiarezza, se non in quella parte che è opposta rettamente al sole. Et perciò in questo nostro emispero, quando il Sole non passa [per pendicolar], & rettamente sopra il Zenith del nostro capo, la terra non può giamai restar illuminata, che da qualche lato non gli sia ombra. Ilche non avviene nella terra sottoposta alla linea equinottiale, ove il Sole a mezo giorno di tal maniera illumina la terra, & gli habitanti che illustra tutta la circonferenza, de’ corpi rotondi, & non si vede ombra sino a’ piedi. La onde appresso gl’intelligenti di quest’arte è vietato il dar lume nella pittura à tutti i corpi in un medesimo modo. Mà oltre questa ragione che si considera per rispetto della luce illuminatrice, & della terra, & corpi terrestri illuminati [ven’è] un’altra più potente cavata dalle viscere Mathematice, cioè dalle linee visuali della prospettiva insieme con l’occhio. Per la cui intelligenza si hà da notare; che affine ch’un possa vedere, trè cose hanno da concorrere, le linee visuali, il corpo colorato, & la potenza visibile, che stà nell’occhio. Le linee visuali illuminate, che sono la propria materia del sogetto della prospettiva, vengono al nostro occhio in figura piramidale, la base della qual piramide stà nella cosa che sì hà da vedere, & il cono ò angolo della piramide è quello che viene al nostro occhio più ottuso, & grande. Et per questo vediamo la cosa visibile più chiara, & più distintamente. Mà se la cosa visibile è distante, & lontana; viene il cono o angolo della piramide al nostro occhio più acuto, & picciolo; si che l’occhio non può vedere la cosa tanto chiaramente, quant’altrimenti si vederebbe. Secondariamente si hà d’avvertire: che le cose visibili, & gl’obietti medesimi non vengono al nostro occhio; mà le spetie visibili si difundono per la chiarezza insino a l’occhio; page lequali spetie non sono altra cosa, che certe imagini di quella medesima maniera; che sono quelle che si vedono nello specchio; quando un’huomo ò altra cosa dinanzi se gli rappresenta. Et se la cosa visibile ò corpo colorato stà propinquo à questa imagine viene al nostro occhio nella medesima quantità, & grandezza de l’angolo della piramide. Poi perche questo angolo, come di già hò detto, viene al nostro occhio ottuso, & grande, l’imagine ancor’ella è grande, & per consequenza si vede chiaramente, & distintamente. Mà quando il corpo colorito, & obietto stà lontano, quella imagine viene all’occhio della medesima quantità del cono ò angolo della piramide, ilquale è troppo acuto, & picciolo. Perciò non empie l’occhio, & vacilla, & non si può vedere chiara, & distintamente. Quanto al terzo non hò che dire altro, se non che la potenza visibile si riduce di potenza in atto, & si informa concorrendogli gl’altri due requisiti c’habbiamo detto, cioè le linee visuali o illuminate, che è la ragione senza laquale l’occhio non può vedere, & l’imagine del corpo colorito informa l’occhio, & lo riduce dalla potenza all’atto, & con imagine grande informa più, & fà l’operation sua meglio; & si vede piú chiara, & distintamente la cosa visibile; mà con l’imagine piciola della cosa che è troppo distante, l’occhio non si può cosí bene informare; & per questo non può vedere la cosa visibile chiara, & distintamente. Da laqual dottrina tutta in questo modo dichiarata si cavano due ragioni per lequali non si può un medesimo corpo che si dipinge, allumare ugualmente in tutte le sue parti; la prima è perche il lume non alluma con tutta la sua chiarezza, & forza se non la parte che se gli fà in contro, & gli è opposta; mà le altre non può allumare cosi perfettamente per la natura del corpo opaco terreno, & grosso, che impedisce i raggi che non possono penetrare dentro, & far l’effetto suo perfettamente. La seconda ragione, si piglia dalla parte del nostro occhio. Perche si come la prima parte del corpo che si vede, & stà più propinqua à l’occhio, viene à lui con angolo più ottuso, & grande cosi si vede più chiara & distinta, per essere ancora più allumata. Mà la seconda parte del corpo, perche stà più lontana, & discende, & viene all’occhio con angolo più picciolo. Et è manco allumata, però non si può vedere cosi chiaramente come la prima; & per la medesima ragione resta la terza parte più oscura, & la quarta più che la terza, & proportionatamente insino che l’occhio non può veder più. E se mi chiedi quando il pittore vuol dipingere due o trè page o quattro huomini, l’uno de [iqaali] stà dietro all’altro, & tutti sono con ugual chiarezza allumati, come haverà da fare; rispondo tuttavia secondo la dottrina data di sopra, che ancora che siano ugualmente allumati, nondimeno è bisogno anco dipingere il secondo che sta più discosto da l’occhio più abbarbagliato nella chiarezza, & più di questo il terzo, & molto più il quarto insino all’ultimo dove più non si vede. La ragion è perche il secondo per stare più discosto viene all’occhio con angolo più acuto, & perciò non si può vedere cosi chiaramente come il primo; la medesima ragione è del terzo sino in infinito. Questo istesso s’intende anco in fianco: & perciò tutti i pittori che hanno osservato questa dottrina sono divenuti eccellenti, & giunti al sommo di quest’arte, come Leonardo Vinci, &molti altri in diversi luoghi di sopra nominati insieme con Iac. Tintoretto, Marco da Siena, Federico Barozzi da Urbino, Paolo Caliarij, da Verona, Luca Cangiaso, i Bassani, & Ambrosio Figino. E questa dottrina tutta ch’io hò raccolta nel presente capitolo è cavata la maggior parte d’Aristotile, da l’Azeno, da Vitellione, & da S. Tomaso d’Aquino, & per concluderla da li più eccellenti Filosofi, & Theologi; l’opinione de’ quali ancora mi piace, ben c’habbia in altro loco detto altra cosa; mà holla detta riferendo l’opinioni de gl’altri.

Divisione del lume. Cap. IIII.

LUme adunque è qualità senza corpo; conciosia che come dice Marsilio Ficino, in un momento riempie da oriente in occidente il mezzo mondo e penetra da ogni parte il corpo dell’aria senza offensione, & quella dell’acqua con poca offensione, & resistentia. Di più, spargendosi sopra cose putride non si macchia; lequali conditioni alla natura del corpo non si convengono. Però che il corpo non in un momento, mà con tempo si muove; & un corpo non penetra l’altro senza dissipatione dell’uno, e de l’altro, o di ambedue; & due corpi miscibili insieme, con iscambievole contagione si corrompeno. Questo lume si divide principalmente in primario, & secondario. Primario s’intende quello, che percuote in quella parte del corpo colorito, che stà opposta al corpo luminoso che con ragioni rette lo tocca. Il corpo luminoso si chiama quello che hà il lume, & la chiarezza come è il Sole, il fuoco, & simili. Quello poi che d’intorno à questo lume primario nasce, si chiama lume secondario. Mà si divide il lume anco in altro modo di molta importanza, cavato dalla fisiologia prima page parte della prospettiva generale; & questa è l’ottica, principale frà le spetie d’essa prospetiva, il cui effetto in universale, consiste in ricercare i principij, le cause, e gli elementi di tutta la visibiltà, con le sue parti, spetie, & differenze essentiali tuttavia sempre in generale. Per ciò ella si divide in trè parti secondo le considerationi ch’ella fa della visibiltà. Perche anco il lume secondariamente si divide in trè parti, cioè in diretto, riflesso, & ritratto, dellequali percioche à suo loco se ne trattera in particolare, basterà per hora d’haverne tanto detto circa alla prima, & seconda divisione.

Del lume primario. Cap. V.

LUme primario e quello che percuote, & è ricevuto nella parte del corpo colorito opposta al corpo luminoso. Egli tocca dolcemente, & trascore ne’ corpi con ordine naturale, cioè senza occupatione ne estremo alcuno; come fanno gl’altri lumi. Ilche s’osserva nelle historie che si fingono all’aria aperta, nellequali senza alcuno impedimento il lume si introduce, & fassi venire, come sopra le facciate verso Oriente. Questo lume ancora trascorrendo nelle camere, & altri luochi tocca nelle parti superiori tutti i corpi che sono nello spacio dove egli entra; e quivi finisce il lume; per ilche occorrerà alle volte, ch’un corpo sarà percosso da questo lume dal mezzo in giù o poco più o meno; & ancora per di sopra, secondo che il lume entra diversamente rispetto alla forma ò situatione del balcone, occhio, o finestra. D’onde bisogna avvertirsi, quando si fingono balconi, o porte aperte, di far nelle pitture che’l lume trascorra dentro; come già fece Francesco Mazolino in uno quadretto piccolo della Madonna, nelquale fece due lumi, uno che allumava la Madonna, & il Figliuolo per diritto, & l’altro un frate certogino ch’egli havea dipinto sopra una porta, ilqual per entro essa porta entrava; si che erano i lumi l’uno al contrario dell’altro . Et questo essempio può bastar per tutto quello che intorno à questo lume si può dire.

Il secondo lume Primario. Cap. VI.

IL secondo lume primario s’intende esser quello che si fà non dall’aria serena, & dal Sole, mà egualmente di giorno, e di notte da diverse apparitioni d’Angeli, & simili; come nella divinità page che da Titiano fù dipinta à Carlo Quinto Imperatore con le schiere de gl’angeli, Patriarchi, Profeti, & tutti gl’altri beati che si ricercano perfettamente à rappresentar questo misterio; come nella Natività di Christo, ch’essendo occorsa di notte pensar debbiamo che vi risplendesse una luce divina, si come rappresenta una tavola d’Antonio da Coreggio ch’egli dipinse alla sua Città; laqual è trà l’opere di pittura una delle singolari che siano al mondo. Et questa luce hà d’essere dimostrata in modo che risplenda ne’ corpi tanto più, quanto più eglino gli sono vicini. Tale doveva essere la luce dell’Angelo, che apparve à Christo ne l’orto, il cui lume divino abbagliare, & restringer doveva tutti gl’altri ancora che non fosse stato notte; corpe in un’altra tavola rappresentò eccellentemente l’istesso Antonio. Questo istesso divin lume habbiamo da considerare che si spargesse sopra gl’Apostoli, quando lo Spiritosanto in forma di lingue di foco gl’illuminò; si come lo ha benissimo espresso Gaudentio sopra una tavola á Vigevano; & cosi sopra Christo quando essendo battezzato da Giovan Battista nel fiume Giordano, fù udita la voce divina. Questo lume primario è parimenti tenuto per quel gran splendore che circondava Christo, mentre che gloriosamente risorse da morte à vita, e quando discese al limbo, & anco quando si trasformò nel monte Tabor, per dar gusto, & saggio della beatitudine celeste à trè cari suoi discepoli, à Santo Giovanni, Santo Pietro, è Santo Giacobo. Delqual misterio n’è fatta la gran tavola in Santo Pietro Montorio in Roma, per mano del mirabile Rafaello. Quando l’istesso Christo apparve sù la terza con molte legioni d’Angeli alla madre, & due volte le disse che si andasse con lui. Quando Iddio apparve à Mose nel monte Orebbe nel cespuglio, e sopra il monte Sinai, dove esso Mose era da tutti fuggito per il sovverchio splendore che haveva contratto; e parimenti quando parlò ad Aronne, che fù poi Sacerdote, si hà da rappresentare co’l medesimo. E cosi l’Angelo quando sù la mezza notte uccide i primigeniti d’Egitto, & quella colonna di foco che guidando di notte il popolo d’Israe1, & la gloria di Dio, che di notte simostrò in mezzo dell’istesso popolo Israelitico sopra il Santo Tabernacolo, la cui luce niuno poteva sofferire eccetto Mose, & il fratello; e quella luce che si vidde con l’Angelo che percosse nel campo de gl’Assirij. Mà perche lungo, & infinito sarebbe l’andare raccogliendo tutti gl’essempi de i lumi divini, che sono sparsi nelle sacre scritture, cosi del vecchio, come del nuovo testamento, & principalmente page nell’apocalisse che ne è tutta ripiena; si come ne sono colme ancora le historie, & favole; porrò fine á questo secondo lume primario, & verrò all’altro.

Del terzo lume primario. Cap. VII.

QUesto terzo lume è quello che da’i fuochi, lucerne, facelle, fornaci, e simili nasce, mostrando intorno una certa quantità di lume alle genti secondo la forza del foco; si come mostrò Ticiano intorno alla craticcia dove ardeva Santo Lorenzo. Mà questo lume però non può essere tanto quanto è quello del secondo lume detto divino. Questo lume distribuisce secondo le forze sue i suoi raggi e dilatationi, hora più da una parte, hora da un’altra, secondo che la fiamma avampa, & si raggira; come si vede ne i fuochi; & anco secondo la materia che arde, laquale si come può essere diversa, cosi diversa ancora farà la fiamma, & consequentemente la luce più gagliarda è manco à l’occhio. Che ben vediamo da un picciolo lucignolo non può uscir quel lume, ch’esce da una grandissima facella. Et ancora che questi lumi di giorno causino un certo colore ne i corpi conforme à loro, non però gli levano il lume primo primario; per cui si viene tal volta à far due lumi in una figura; uno de quali verge al celeste, & l’altro al fuoco. Tutti questi lumi feriscono gagliardamente i corpi, in modo che non lasciano à pena scorgere altro che quella parte che è direttamente allumata, o per forza di riflessi, all’incontro del lume. Ilche avviene ne’ i metalli, & altri corpi lustri, e chiari. E però bisogna avvertir molto in mostrar questi lumi, cosi se è di giorno, come se è di notte, per i sopradetti effetti; & anco per rappresentare di notte in tutti gli colori, una certa ombra quasi à un modo, e dove tocca una cotal rinascentia del colore in quella guisa che fà di giorno il Sole per tutto dove tocca, benche nel tramontare lo rende alquanto rosso, cosa che accade in questi lumi, la dove appaiono più spesso. Per tanto sarà bisogno à ciascuno per saper dispensar questo lume, legger l’istorie; per sapere se i fuochi sono di giorno, o di notte, e la quantità loro; [è] se sono al cielo aperto overo ne gl’alberghi o dove si siano. Percioche si truova essersi usati diversamente i fuochi da Abel ne i primi sacrificij, e doppo da Noe quando fù uscito dall’arca nel sacrificar gli agnelli, si come ancora fece Iacob nel viaggio con la sua gente, & cosi d’altra maniera essere stato usato da Aronne, sopra l’altare avanti page al vitello, & dal medesimo diversamente quello che fece dopoi à Dio sopra l’altare fabricato con tal arte; sopra al quale Nadab, & Abiu, mettendo ne i turriboli fuoco profano, dal fuoco istesso furono arsi. Altra sorte di fuochi ancora si potranno trovare appresso i poeti come quello, che le Ceraste facevano in Cipro à Giove, ardendo i pelegrini, & molti altri che saranno raccolti nel Sesto libro; da i quali si potrà comprendere quante avvertenze si debbano havere nel fingere i fuochi, & i lumi per le quantità, & collocationi, & anco per le materie che si ardevano e per il tempo s’ardono di giorno, si come fece il fuoco di Sodoma; quello che fece accender Giuda per ardere Tamar nella valle dove era radunato intorno tutto il popolo, quello del palazzo dove arse Zambri; over s’ardono di notte, come i lumi di notte veggiamo in letto spegnersi; come il fuoco ch’accese, fece Tobia con la sua sposa in gienocchioni, ponendo sopra i carboni il core del pesce (ilqual soggietto tutti i pittori sogliono finger di giorno) o come della fornace dove furono posti i trè fanciulli, che si ravvolse con le fiamme intorno a’i ministri. Con laqual discretezza andarebbe anco variata la gente intorno di luce, mentre che insieme con la madre sono tormentati dal fuoco i sette figli, come si legge nella historia de’ Macabei Et parimenti in diversi misteri di Christo, questo lume primario và rappresentato di notte, come quando è preso constituito innanzi ad Herode, Anna, e Pilato; e quando è flagellato, incoronato, & schernito, dove però sogliono quasi tutti ponere i lumi; come se fosse stato di giorno. Et appresso i gentili, come nel fuoco di Hercule in cui si muore, ne la casa di Licaone che arde, nel fuoco delle figlie di Himeneo, nel tizzone di Meleagro, e finalmente nel fuoco di Mennone, & di Prometeo, & di Troia. Iquali essempi cred’io che bastino, per dimostrar con qual avvertenza si debbano dar i lumi di notte, & di giorno secondo gl’effetti à tutte le cose; riguardando sempre all’historia, laqual ci pone avanti gl’occhi tutta la pittura, come hà da essere; & ci avvisa di gl’occhi tutta la pittura; come furono. Per ilche non converrà rappresentar Scipione Africano, che di giorno messe in rotta l’essercito Cartaginese, co’l fuoco acceso ch’egli fece gettar nel campo, della Arsione medesimamente la sconfitta che diede il grandissimo Patriarcha à’ Rè che ne menavano prigione Loth. Perche tutti sono fatti che occorsero di notte.

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Del lume secondario. Cap. VIII.

DAl primo lume secondo, & terzo, in tutti i modi nasce il lume secondario, ilqual prima s’intende in questa maniera, esser quel lume, ilqual è causato non da i raggi diretti, mà riflessi, & nasce d’ogn’intorno dal primo lume [chentra] per essempio in una camera, loggia portico, o simil luogho. Perche vediamo che quando il primo lume v’entra dentro, & percuote in una parte d’intorno intorno, si sparge un’altro lume, ilquale è questo proprio che diciamo secondario, & che seguità sempre il primo lume. Non può giamai esser cosi chiaro come il primo; dalqual egli deriva, & procede; & perciò và allumando sempre le più lontane parti terminandosi ne gl’estremi oscuri, e massime di notte:

Del lume diretto. Cap. IX.

COncludesi con fisiologice ragioni accomodate al naturale, che’l lume diretto primo de i trè posti nella seconda divisione de i lumi, non è altro che questo che si distende, & sparge con virtù primaria direttamente sopra qualunque corpo, in modo che ivi terminando si finisce. E questo lume giamai non si estende per traverso, o in simili modi, mà sempre và per il dritto. Appare tanto più lucido quanto più trova i corpi densi, come si dirà altrove. Non può ferire se non le superficie opposte à se, e le altre nelle più eminenti meglio alluma, come quelle che à lui sono più propinque. Mà quale sia la forza di questo lume si dirà altrove.

Del lume riflesso. Cap. X.

IL lume riflesso è quello che nasce dal termine del diretto, e tanto più si fà lucido quanto è più denso il corpo dove tocca esso lume diretto, e non passa più oltre ne ritorna verso il diretto. Alluma tutti i corpi in ch’egli percuote, & maggiormente le parti posteriori allumate davanti dal diretto, lequali sono al suo incontro, cioè il diritto del corpo, dove terminando il diretto egli nasce, e questo è tutto il termine dove si estendono i lumi riflessi.

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Del lume ritratto. Cap. XI.

L’Ultimo lume della seconda divisione, è determinato da i fisiologici esser quello il quale si genera dal lume diretto quando percuote ne gli specchi, ne’ cristalli, nell’acque, nell’armi, & in altre simili cose risplendenti che siano atte à generar questo lume. Et è quella moltitudine de i raggi, che essi spargono d’intorno al toccar del lume diretto in ciascuna delle cose dette, massimè se è lume solare, e di giorno, benche il medesimo ancora è quando si genera di notte da la Luna, o da qualche facella, & doppier acceso. Ne più lungamente fà mestiero ch’io mi stenda intorno à ciò; poiche in somma tutta la cosa si riduce à questo che rifrattione non è altro che quel frangere che fá di se medemo in questi corpi, il lume diretto che d’intorno intorno à luochi sparge, come si vede ne l’acque chiare, & limpide verso il fondo, & anco nella sua superficie verso i nostr’occhi,

In che modo tutti i corpi ricevono lume, ò poco, ò assai. Cap. XII.

POscia che habbiamo [sinqui] discorso, che cosa sia lume, & in quante spetie si divida, & di ciascuna di loro, cosi della prima, come della seconda divisione trattato, consequente è che più minutamente andiamo investigando i suoi effetti ne’ corpi, secondo la compositione, & dispositione loro; e prima in questo loco consideriamo in qual maniera tutti i corpi ricevano di esso lume, o poco, o assai. Che di qui ne nascono le diversita che si veggono contro la ragion dell’arte nelle superficie de i corpi. Essendo gl’elementi principali fondamento di tutte le cose corporee, & di tutte le cose elementate in questo mondo inferiori, si compongono non per congregatione over coagmentatione, mà per trasmutatione, e unione; essendo loro trà se stessi l’uno nell’altro trasmutabili, & insieme più e meno mescolati, e non schietti o puri. E però cominciando da loro, è cosa osservata, & chiara che per tutto dove essi si trovano più sottili si vede esser la luce che percuote in loro meno apparente & più purgata, e per il contrario più chiara e grande dove eglino sono più grossi, & opaci. Et pero essendo, & trovandosi loro in tutte le cose di ciascuno de i tre ordini, vedesi che in queste cose inferiori eglino sono grossi e fecciosi, nelle celesti sono più puri, & mondi; mà nelle sopra celesti, page sono come dicono i Platonici, pieni di vita, & totalmente perfetti, & beati; dove in questo mondo inferiore sono forme grosse e molto grandi e materiali, & in Cielo sono secondo le loro proprie qualita, con celeste modo, e più eccellenti che non sono sotto la Luna nel terzo ordine. Perciò che ivi è la celeste fermezza della terra, senza la grassezza dell’acqua, l’agilità dell’aere senza i movimenti. Ivi è il calor del fuoco che non arde, mà risplende è vivifica ogni cosa co’l suo caldo. Perciò che tra le stelle Marte e’l Sole hanno simbolo, & corrispondono all’elemento del fuoco essendo il lume in loro più gagliardo e risplendente. Giove e Venere rispondono all’aria, essendo il lume loro alquanto minore, cioè tendendo manco al giallo. Saturno, che da molti è tenuto havere similitudine con l’acqua, da quelli che habitano sotto il suo circolo è simbolizato con la terra, havendo il lume privo di quella risplendenza solare, & tendente al giallo sbiadato, & scuro. Mercurio e la Luna che sono tenuti da alcuni haver simpathia con la terra sono di natura dell’acqua, perciò che in loro il lume fassi chiaro, mà smorto, & che verge al bianco. L’istessa consideratione, & teorica che si fà de i lumi, & corpi celesti si fà ancora nelle triplicità de i segni celesti. Et cosi il principio del fuoco si dà all’Ariete, il mezzo al Leone, & il fine al Sagittario. Il Tauro ottiene il principio della terra, la Vergine il mezzo, e’l Capricorno il fine. Il principio dell’Aria e dominato da i gemelli, il mezzo dalla Libra, & il fine dall’Aquario. Il principio dell’acqua s’assegna al granchio, il mezzo allo Scorpione, & il fine à i pesci. Da questa commistione, & [s’impathia] di pianeti, segni & elementi si compongono tutti i corpi. Nel Cielo il lume del sole, è raro e risplendente; per ilche veggiamo le stelle à guisa di specchio ricevere la luce del sole collocato; perciò nel mezzo di loro[,] si come luce è spirito di tutti i pianeti. Mà quivi frà noi non e tanto chiaro, & puro nel Cielo, ne cosi grosso, & ardente come nell’inferno. Nel mondo poi intellettuale, gl’elementi del primo ordine ne gl’Angeli e beati, intelligenze si considerano in questa forma; cioè che la stabilità essentiale, & potenza corrisponde alla terra, poiche sono il fermo seggio, & franchezza di Dio. La clemenza e pietà, per la virtù che hanno di purificatione, & mondatione, all’acqua. E cosi le chiamò il salmista la dove parlando del Cielo dice, Tu che reggi le acque e le cose superiori à loro. Per l’aria s’intende un sottilissimo spirito, e per il fuoco, l’amore. Et sono chiamati nelle sacre lettere penne de i venti; & in altro loco dice page dove il Salmista, Tu che fai i tuoi Angeli spiriti, e i tuoi ministri fuoco ardente. Di qui anco i Theologi havendo riguardo à gl’uffici, & alle nature de gl’angeli hanno voluto che i Serafini le virtù, & le potestà come infiammati di foco sopranaturale corrispondano al fuoco; i Cherubini, & gl’angeli alla terra; i Throni, & Archangeli all’acqua; le Dominationi, e Principati all’aria. Però nel dar luce à quelle glorie che sovente facciamo noi pittori bisogna mostrarvi il lume quasi che trasparente, & che penetri le forme loro; Perciò che essi si riflettono nel lume, di che sono rischiarati in quella divina gloria. Mà perche molti pittori usano non volere dipingere Dio Padre, se non velato da certi lumi trasparenti, si che la sua forma resta abbagliata, io direi anci che egli si dovesse per nostro essemplare, & come specchio farlo di perfetti colori chiari mostrando la perfettione di tutte le cose essere in lui, si come quello che è prima causa loro. Et cosi par che si richiegga di far l’istesso lume più lucido che sia possibile, mà in modo che non paia pigliarlo d’altro che da se medesimo; ilqual del suo splendere, & bellezza primieramente ne illumina, & comparte poi al Cielo; & ultimamente in questi inferiori, risplendente come in trè specchi secondo che dicono i Platonici. Ilche si conforma anco con le sacre scritture lequali si vogliono imitar, & osservar circa tali pitture; perche non manco si leggono in certo modo per gli occhi le pitture che si odano con parole le scritture. Onde leggesi di Dio nelle sacre carte, si aprirà la terra, & germinerà il Salvatore; & di lui medesimo Dio Fonte di acqua viva, che purifica ogni cosa; & altrove nel spirito che spira lo spiracolo della vita; & Mose testifica, & Paolo, che è fuoco consumatore, si che in tali opere si osservarà questo, cioè di dare il primo lume à Dio, il secondo à gl’Angeli, il terzo à Cieli, il quarto à noi, & il quinto à l’inferno: e per tutto considerare i corpi, che sono atti à riceverlo più o meno; che cosi vederà in Dio esser fonte di luce, ne gli Angeli riflessioni, nel Cielo splendore, e fra noi risplendente, e nell’inferno quasi materia, & feccia del lume, alquale si riferiscono tutte le grossezze, & feccie delle cose. Et questo è tutto il fondamento dell’arte circa à cotal facoltà de i lumi, per le materie de i corpi imaginati, & visibili.

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De gl’effetti che partorisce il lume ne i corpi in generale: Cap. XIII.

ESsendo chiaro da quel che si è dianzi detto che naturalmente tutti i corpi, secondo la qualità sua in ogni luogo hanno il lume, & la risplendenza; cosi gl’angeli nel Cielo Empireo appresso Iddio; come le stelle nell’ottavo Cielo appresso il Sole; & gl’huomini appresso i raggi solari, & i raggi del fuoco; e finalmente nell’inferno appresso alla vera, & propria fiamma che è una materia grossa della luce, priva della sua carità: conveniente cosa è che si tratti de gl’effetti, che partorisce il lume percuotendo in suo essere qualunque corpo. Perciò che sì vede sensibilmente che tanto più il lume appare risplendente e chiaro appresso noi (parlando sempre per essempio) quanto più, come hò detto di sopra, trova i corpi più densi che in se lo ricevono. Però andaremo partitamente discorrendo per ciascuno corpo de gl’effetti che esso lume in lui partorisce; & prima per quelli che tendono alla natura della terra grave, & opaca frà gl’altri elementi.

De gl’effetti, che partorisce il lume ne i corpi terrei. Cap. XIIII.

PRimieramente adunque la terra non generando pietra, come scrive Avicenna per la sua siccità, per mancargli l’humido dell’acqua che la condensa insieme, & indura, & però in questa parte pura, come è la polvere, l’arena, & la terra morta, riceve il lume in modo che non può essere molto chiaro ne acuto, appresso à quello che percuote nelle pietre. Però veggiamo che il lume mentre percuote nella terra genera riflessi, e di grado in grado nelle pietre tanto più lo genera, quanto più trova quelle di maggior durezza, & più dense; ma accompagnato dal riflesso nelle parti estreme, per la riflessione della parte percossa dal lume; che tanto più, come à tutte le cose lo rende quanto più essa è meno terrestre. E però diremo che quella parte della terra che appare, & fá poca riflessione, se si gli pone all’incontro, marmo [od’altra] cosa chiara, che sia percossa dal lume, la renderà tutta chiara à un modo, pigliando quasi tanta chiarezza di dietro, per il riflesso, quanto davanti per il lume. Il che si può fare in tutte l’altre cose, quando saranno aiutate da un corpo più pronto à ricever chiaro, & lucido il lume; come appresso il piombo l’argento, & al page rame [loro]. Questa è la sicura regula de gl’effetti causati dal lume per la natura e compositione de i corpi che lo pigliano. Et che sia vero, voglio darne il più chiaro essempio, & il più proprio & accommodato che si possa imaginare in tutta l’arte della pittura; co’l quale si verrà in cognitione d’una certa corruttela nel dipingere, laquale veramente si come nemica al vero ha da essere fuggita; si come l’hanno fuggita Leonardo Vinci, Raffaello, & gli altri buoni pittori; ancora che in essa siano stati eccellenti, Vicentio Foppa, Bramante, & molti altri, de’ quali le opere fanno fede di questo. Ora per la diversità che è trà la carne, & il gesso, veggiamo chiaramente riceversi in loro diversi lumi, & riflessi; come per essere la carne morbida, si causa ch’essendo percossa dal lume fà un’ombra in essa medesima soave, & dolce non con molto riflesso, & di maniera accompagnato, che non disdice; si che trovandosi un poco lontano si vede quella carne tonda morbida senza ombra, & massimè quando essa carne è più morbida, come ne i giovani, & fanciulli: per incontro resta più cruda di lume, & ombra quando è manco morbida, cioè che tiri al vecchio, & ruvido. Mà non però tanto sarà, come in un corpo di gesso overo di marmo benche formato come la carne; ilquale essendo al contrario incontro della carne, e d’uno lustro, e bianco, ricevendo il lume ìn se ne resta più acuto, e con certi riflessi di maniera crudi, & apparenti, che non lasciano la cosa veder tonda come la carne: anci combattendo l’uno membro con l’altro per i lumi fanno strepito, & tanto più quanto il corpo suo è più candido. Non considerando tali diversità molti pittori, iquali hanno ritratto da giovanetti, appresso tali figure di giesso, & marmi con que’ lumi crudi fieri, & acuti, hanno tenuto tal maniera dal lumare; laquale veramente si come è causa da tali corpi à tali anco solamente per fingere s’aspetta. Mà questi tali estendendolo anco più oltre senza consideratione anco nelle figure finte di carne, lo usano dandovi quella medesima qualità di lumi; onde non le possono appresentare simili al vero, benche siano benissimo intese nel disegno; come è una figura d’un savio dipinta da Bramante sopra [ià] una facciata quà in Milano nella piazza de’ Mercanti, oltre altre figure colorate, e come fece Francesco Vicentino nelle Gratie, dove dipinse una capella di Vangelisti, Profeti, & Sibille di tal maniera con la sua tavola, lequali vedendo alla vista non riescono punto graziose; tutto che habbiano però buon disegno. Et questa medesima maniera usano molti pittori di questo tempo, iquali sono page conosciuti senza ch’io gli nomini: de’ quali alcuni con ogni studio cercano di schermirsene, come Luca Cangiaso, si come quello che ha buonissimo disegno, & perfettamente intende quest’arte, & Aurelio Lovino ilquale non mostra punto d’essere bastardo figliuolo di Bernardo Lovino pittore eccellentissimo; come si può vedere per le diverse capelle, & opere che egli ha fatto in Milano, & fuori; & massimè à Lugano, in un Centurione, & un Christo in croce. Ora essendosi detto intorno à questo assai massimè potendo vedere per essempio i coloriti del Buonarotti, & de gl’altri descritti nel penultimo capitolo del primo libro, & oltre loro di Antonio da Correggio, frà coloritori più tosto singolar che raro di Sebastiano dal Piombo, di Giorgione da Castel Franco, del Palma, d’Alessandro Moreto, di Girolamo Bressano, del Pordonone, del Sarto, di Daniel di Volterra, del Vaga, del Rosso, del Bologna, del Mazolino, di Timoteo Vita, di Giulio Romano, del Fattore, del Sesto, del Boccaccino, del Lovino, d’Andrea Solari che fù fratello di Cristoforo Gobbo, del Toccagno, & de i germani inferiori, come del Nuberto, [el] Leidano, del Scorello, del Burgeli, del Pancelli, del Floro, & di Teodoro, del Mabusio, del Dionatense; del Lusto, del Maio, del Alosto, del Gasello, & oltre parimenti ad altri non solamente di que’ tempi; mà anco della seconda, & terza schiera, si come de gl’istessi Italiani, tutti degni d’essere celebrati iquali seguendo ciascuno il suo genio particolare qualunque egli sia o più o meno eccellente, hanno fuggito cotal fierezza di riflessi, salvo se non si imitassero i marmi, accostandosi sempre con ordine al naturale delle cose, lequali ancora trà loro generano riflessi, secondo la potenza, che tiene più o meno la materia, & il colore, che per il lume genera il riflesso, che si riceve nella sua ombra. Per ilche veggiamo il colore bianco intorno alla gola, riflettere per la sua chiarezza molto più nella mascella; e cosi tutte l’altre cose si riflettono trà loro secondo sono trà se potente, e più atte à ricever chiari, & acuti i lumi. Perciò che il lume non tocca mai corpo che habbia di terreo tanto acutamente in parte alcuna, che subito nella contraria non si generi un ombra ancora acutà; cosi trà le ombre una è più chiara, come il lume acuto trà il manco acuto. Dalche nè risulta. che’l corpo nè resta rilevato, & allumato, & ombra accompagnatamente queste diversità di lumi, & manco lumi, & ombre, & manco ombre che da noi son chiamati mischie. Per i panni, falde, & crespe, si ha molto d’avvertire circa à questo, per non essere cosa di poca consideratione, page anci tale nella pittura, che per la sua difficoltà da pochi è stata intesa; si che si veggono cosi pochi pittori haver accompagnati panni, come hanno fatto Raffaello ,Leonardo, & Gaudentio, secondo i suoi colori, & gravità del panno, & appresso delle carne, dando più lustrezza à quelle parti che più sono propinque alle ossa, come sono i nodi delle dita, le spalle, le ginocchia, & simili apparimenti; che dopoi riescono più soavi le parti più carnose; & questa è la vera strada che à lor imitatione si deve tenere.

De gl’effetti, che partorisce il lume ne’ corpi aquei. Cap. XV.

ESsendo la materia delle pietre pretiose, & fine trasparenti, o più o meno; come quelle che volgarmente sogliamo chiamar gemme, è necessario che ricevano il lume più acuto, in maniera che ha forza passare per entro loro, & portarne seco la sua virtù. Ilche si vede nel Sole, che percuotendo nella pietra detta iride, ha forza di farci veder per entro l’arco celeste; si che in ogni modo il lume porta seco, passando per le pietre il medemo colore ch’ella tiene in quella guisa che fà il color del vino, o de l’acqua in un vaso di vetro sopra il piano dove posa. Il che non procede da altro che dá questa causa; cioè perche la luce in se non ha colore alcuno perche procede dal Sole, ilquale s’havesse colore sarebbe corrottibile. Mà ancora che la luce non habbia colore, però ha questa proprietà, & virtù che manifesta, & dimostra i colori dove sono. Et cosi quando la luce passa per il vetro verde scuopre il color verde, & lo dimostra all’occhio, sembrando che la luce, & i raggi siano verdi. Et cosi discorrendo si può addurre l’essempio quando la luce passa per una carrafa piena de vin Vermiglio. Mà tornando d’onde si partimmo il lume in cotali corpi diafani, & trasparenti tanto più sfavilla, & appare quanto più trova il corpo in se ristretto, & condensato. Perciò lo vediamo più acuto, & chiaro nel diamante, che nel christallo, & in questo più che nel vetro e più che nel giaccio. Et ciò che per essempio si è detto del diamante, si hà d’intendere generalmente in tutte le altre pietre. Ne i metalli ancora per essere di materia dura si ha da considerare quanto possa haver forza il lume giusta la rispondenza loro. Et debbiam sapere ch’eglino hanno trè colori più e meno intensi secondo la purità sua; il primo è commune, & splendido in lampeggiare à guisa d’una luce, che fosse incorporata page in un corpo colorato. Il secondo è bianco, che si vede in molti metalli, più e meno. Perche nell’argento e bianchissimo, e nello stagno è mediocre, & nel piombo è minimo, & quasi nullo nel ferro. Il terzo colore è citrino, over giallo, che è spetialmente nell’oro, & alquanto meno nel rame. E questi colori sono ne’ metalli, appunto come in tutte le altre cose, l’estremità del lucido determinato. Ora in qualunque corpo sia contrafatto un metallo col prossimo chiaro, & puro, par quasi che quello lampeggiare sia incorporato nel colore, perche il risplendente condensato lampeggia, ritenendo la sua densità del lume per laquale esso è disposto à riceverlo, si come la potenza riceve la forma. Pertanto il risplendere, & lampeggiare ne i metalli communemente avviene dall’acquoso sottile, & dal secco, & duro terrestre condensato in quelli. Et consequentemente d’ogni metallo quello che terrà l’acquoso più sottile mischiato co’l terreo puro, & denso, sarà più netto, splendido e polito. Perche di rincontro si vede che nel metallo non polito una parte ombreggiando l’altra, impedisce tanto o quanto lo splendore. Per questa causa l’oro più risplende d’ogn’altro metallo; e doppolui l’argento; & il ferro similmente quando è polito è risplendente come uno specchio. La cagion di questa risplendenza nellaquale si ricevono le imagini secondo i Peripatetici è la superficie terminata, & polita. Quivi adunque habbiamo da considerare che nell’esprimere l’armi si hà da rappresentare il suo lume più gagliardo, & fiero à la lontananza della vista, che cosi riescono più singolari, & più simili al naturale senza cotal imbrattature di figure che si gli pingono di dentro. Ilche hanno fuggito di fare i più gran pittori che siano stati; come si vede nel ritratto del Rè Francesco Valesio di Francia, & di Ferdinando Rè di Romani, fatti per mano di Ticiano; & nel ritratto di Prospero Colonna, fatto per mano di Sebastiano del Piombo. Di più è d’avvertire che nell’armi, si possono rappresentare per entro, quasi come in uno specchio tutte le cose che se gl’appresentano dinanzi, co’l medesimo colore, e con le riflessioni de i lumi d’ogni cosa postagli appresso, ch’egli può pigliare. Mà tutte queste imagini, e contra lumi o riflessi vogliono essere di minor chiarezza che non è il lume maggiore che esse armi hanno pigliato dal Sole, overo d’altro splendore primario, che’l rappresentargli altrimenti è cosa da pittor gregario, & ignorante del vero ordine, & strada di prospettiva. Mà tornando d’onde prima feci digressione, il lume che fere nell’acqua quanto ella è più purgata page e limpida qual’è quella de i chiari fonti, over quella che scende [dallesommità] de i monti rompendo per i sassi fà apparere l’arena, & ciò che è nel fondo sassi, & sterpi per dove ella scende da i monti, rinforzando la natura d’essa acqua traspare; non altrimenti che se alla superficie fino al fondo non vi fosse cosa alcuna. E tanto più appare il lume fiero quanto più ringrossandosi l’acqua fà per la quantità effetto di condensatione; come si vede nell’onde del mare altissime mosse da i venti al conspetto del Sole, nellequali potiamo ben affisar lo sguardo, mà non già in uno specchio opposto medesimamente à i raggi del Sole; e però manco saranno lucide l’onde del mare, che le punte de i cristalli sopra i monti all’aspetto del Sole per essere diversi. Si che bisogna ad ogni modo avvertire à questi paragoni, perche di qui vengono le dilettevoli varietà dell’arte.

De gl’effetti, che partorisce il lume ne i corpi aerei. Cap. XVI.

NOn dubito punto ch’essendo l’aere natural purgato e netto si possa vedere in lui alcuna qualità di percussioni del lume fuor ch’una luce piana, & seguente, secondo il suo naturale: mà giudico bene che quanto più esso s’ingrossa per vapori, come d’acqua[,] ò di fuoco, possa per tal cagione ricever lume. Ilche appare in quella materia ch’esce da i forami del fronte di [corti] mostri marini Settentrionali chiamati Phisiterise, & molti altri più chiaramente nel campo d’esso aere nelle nubi, che hor più hor meno à guisa di bambagia allumate ci appaiono; si che vi si scorgono dentro di più forme d’animali rilevate co’ suoi lumi appartenenti, secondo che più e meno si dilatano, cosa che si vede nel naturale. Cosi adunque l’aere condensato dall’humido, tanto meno riceve il lume, quanto è più lontano da l’humido, e veggiamo che quando soprabonda l’humidità nell’aere, non si scorge lume, ancora che secondo il contrasto trapassa, & mette in atto la virtù sua naturale. Et questo avviene, quando e tanto di humidità, che non si può scorgiere alcun raggio di Sole nell’aere. Ilche è tutto all’incontro di quelche è quando il Sole percuote ne l’ombre più propinque à lui nel suo tramontare, & anco nel levare. Però che le fiere cosi gagliardamente, che quasi le fà apparere del suo colore, cioè gialle, e verso la sera nel più intenso rosso, che tira al fuoco condensato all’incontro dal secco in modo che rassembra page splendente fiamma, risolvendosi il fumo; ilquale quanto è più spesso, tanto maggiore appar la luce, si come in parte di materia dove più s’ingrossa, se però vi arrivi il lume, si come nelle nubi causa all’incontro dove non percote oscurità e si in questo la cagiona trovando spetie di materia. E cosi và crescendo, quanto più truova l’aria atta à riceverlo acutamente; e tanto quanto manco l’aria s’ingrossa; come si vede per il fiato ch’esce di bocca, & dalle nari, à gl’animali. Mà nell’aere che molto s’ingrossa, e possibile, ch’esso lume possa generare lume, & riflesso; come si vede nelle nubi, quando sono dal Sole percosse, che l’una riflette sopra l’altra. Et perche sono di natura d’aere, quelle cose che non possono tendere al basso, ancora si allumano; mà per esser prive di gravità e densità non possono ricevere il lume acuto, nè generar grandi ombre; come si vede in certe pietre delqual genere sono i pomici, & altri simili, che non possono passar sotto l’acqua. Et però veggiamo ancora nelle cose legieri che i lumi non feriscono gagliardamente; come ne i panni, per esser leggierissimi, come nel velo, & simili; che perciò appaiono dolci, & soavi, appresso à gl’altri panni, & drappi. Della natura dell’aere sono parimenti le foglie le scorze, & simili.

De gl’effetti che partorisce il lume ne i corpi ignei. Cap. XVII.

NEl fuoco ancora v’è una certa percussione di lume, e massime quando è più grosso; come si vede nel fuoco acceso in carbone, o legna, o ferro, o in qualunque altra materia, ilquale riceve lume dal propinquo fuoco raro che si converte in fiamma, & anco nell’istessa fiamma, veggiamo che la parte più grossa piglia acutamente per gli lumi dalla più sottile e rara, si come da fuoco più perfetto, e manco corrotto dalle commistioni, & ancora per non essere in esso ristretto; si come e nel corpo di Marte, il quale havendo in se il fuoco ristretto dal grande, piglia la luce dal Sole, si come da fuoco eccellentemente dilatato per ilquale trappassa e risplende, facendo risplendere le stelle. E si come questo si vede ne’ fuochi che noi acendiamo, cosi & maggiormente anco si scorge quando egli perde del suo colore, & vivacità come sarebbe s’egli si spargesse sotto il Sole, per esser questo splendore del secondo ordine più purgato e chiaro. E il medesimo sarebbe, chi potesse penetrare o vedere essi raggi del Sole, appresso à quelli de gl’angioli, & questi anco appresso à raggi del primo Sole; parlo de i page gradi de i lumi; non ch’Io non sappi che non siano un medesimo lume in diversi specchi. Dirò ben questo che gl’Angeli vogliono pigliar il lume divino non dalle parti, mà dal proprio mezzo, si come da lucerna posta à perpendicolo in mezzo frà molti corpi, che gli siano d’intorno, e però le luci angelice debbono risplendere per il mezzo e di sopra, e non per le parti da esso Iddio posto nel mezzo come nel suo seno sia la istessa luce; e noi altri da basso per quella parte da dove viene il lume; e nel fuoco infernale; vogliono i demoni, & l’anime tormentate ne le fiamme spesse, & gravi haver luce acutissima della maggior chiarezza; benche poca; per esser fuoco che tende al rosso ardente e grosso, di cui la materia più grossa inclina all’oscurità della terra, come del sangue. E queste regole si [hannno] da osservare in tutti i fuochi per dargli forza e vigore di rilievo; imitando quanto più si può il naturale rispetto sempre al fuoco che si vuole esprimere. Perche ognun sà che diversi sono i colori, che egli mostra per le materie, come per il solfo, in ch’egli s’accende, & appresso accompagnargli il fumo co’ suoi debiti lumi; si come ancora si hà d’osservare nelle pietre di natura di fuoco, come è il Carbonchio, & il rubino. Oltra di ciò bisogna ancora considerare i [parangoni]; per essempio se di giorno si finge apparrere splendor divino intorno à qualche Angelo questo hà d’ingombrare, & abbagliare quello del giorno, ò del Sole; e questo [dil] Sole quello delle lucerne e facelle, & simili, & questo finalmente le luci che trà loro si porgono lume, secondo il grado, & ordine loro si è detto. Basta che noi nell’aria oscura che si doveva dire nel passato capitolo tenebrosamente gli stiamo non comprendendosi [luno] verso l’altro quello che noi faciamo senza la lucidezza del chiaro folgore che mandarà sopra noi Giove illuminando le nostre menti.

De gl’effetti che fa il lume ne’ colori. Cap. XVIII.

PErche il lume molto più risplende, & appare ne’ corpi che hanno maggior conformità di colore con lui, onde viene à causar diversi effetti; non sarà fuori di proposito; poi c’habbiamo parlato de i corpi in qual modo essendo più vicini à ciascuno de gl’elementi, più o meno ricevono il lume, secondo la corrispondenza che è trà loro ragionar della qualità de’ colori ne’ quali ferendo lume, o più o meno corrisponde al suo naturale ilquale tanto più vivacemente gli risponde quanto maggior corrispondenza truova page alla luce nostra. Ond’avviene che’l lume nel color rosso rende una certa luce densa ma potente, & acuta, & cosi seguendo di grado in grado, nelle carni sanguinee, & colorite, come nelle faccie rosse, veggiamo che i lumi sono acuti, & lustri; come sopra i meloni e sopra la punta del naso, & della fronte; Ilche non veggiamo nelle faccie pallide e smorte, come di color flemmatico applicato al suo contrario; nellequali il lume è sparso, & dilatato per modo di chiarezza quasi che senza alcun vigore; non trovando rispondenza alla natura suà. Et di più percuotendo nell’oscuro e nero non porge del tutto acutezza alcuna, se non tanto quanto esso oscuro è di più eccellente materia, & più purgata di terra o di feccia, come sarebbe in nero di seta in paragon d’uno di lana. Onde veggiamo più lustro il raso, & l’ormesino che’l panno, & di questo più lustro per il maggior humido l’inchiostro l’hebano, & la pietra nera. Di più nel giallo causa il lume una certa luce chiara, & un lampeggiare per esser colore sembiante à lui, d’onde ne viene à generare tutti que’ riflessi che sono possibili à generarsi per ordine, & massime ne’ colori più perfetti, & privi di pallidezza. Nel verde azurro causa una certa mediocrità che più presto, conforta il vigore visivo, [che che] l’acuisca. E cosi usiamo quando la vista é afflitta, di mirar nel verde d’azurro, & cosi confortarla; come che anco si conforti mirando ne gli specchi per l’humido cristallino ilqual’è conforme all’occhio. Effetti che non potrebbero fare l’estremo de i colori, & il rosso over giallo. Nel bianco è troppo continuato per la sua chiarezza, che però hà molta corrispondenza co’l nero, da cui prende ombra mentre è percosso di lume; per essere il bianco applicato alla luna, & il nero à Saturno. Ilche non avviene al giallo, l’ombra del quale più tende al rosso che ad altro colore, per la conformità dell’essere del fuoco che hanno frà se il Sole e Marte ben che l’uno sia dilatato, & l’altro aggregato. Et per essere i colori tra questi termini accompagnati dall’aria che insieme gl’accoppia di natura più, o meno, secondo la possanza che prevale in uno di loro più che in un’altro, con tutto che sia combusto il lume; non potrà haver alcuno termine di chiaro ne di scuro; mà si ben di certi mezzi, come si vede per Giove, ne’ verdetti chiari, e ne’ colori saffirini, & rosati, & di paglia color mischiato di giallo, & bianco, & parte ancora di quelli che tendono à l’incarnato, per la convenienza che tengono con Marte, e con Mercurio, iquali di natura sua co’ buoni, buoni, & co’ cativi, sono pessimi; tanto più in quelli che page sono più rari, ne’ quali il lume hà maggior forza, & più risplende perche la compositione loro è à lui conforme.

De gl’effetti, che fà il lume in qualunque superficie. Cap. XIX.

POi c’habbiamo sin qui parlato de gl’effetti che genera il lume in ciascun corpo, secondo la sua qualità in generale; resta hora che delle superficie ancora in generale diciamo alcuna cosa, cioè de gl’effetti che fà in esse il lume scorrendo per loro. Et à ciò fare mi regolerò sotto l’essempio del corpo humano discorrendo per tutte le sette età. Imperoche sapendo poi applicare ogni simile al suo simile, il corpo humano verrà ad havere rispondenza con tutte le superficie. E quivi si vederà come il lume tanto genererà effetto ne’ corpi quanto saranno eminenti, o basse, o ristrette, o dilatate le superficie; dalche ne resulterà quell’asprezza, & dolcezza de i corpi secondo la detta qualità delle superficie. Ora cominciando dall’infantia lunare, veggiamo nell’infante secondo le superficie, i lumi dilatati, e non acuti, per iquali non s’imprime in chi riguarda se non una certa dilatatione di materia grassa, & simplice senza acutezza alcuna. Quest’acutezza poi si comincia a vedere nella pueritia di Mercurio. Perciò che ne’ fanciulli i lumi cominciano ad apparere più acuti, avvicinandosi più le superficie: mà con tutto questo hanno dell’instabile; & pare che vacillino accordandosi à i suoi gesti. Ilche nasce dallo spirito, che comincia [adoperare] nel fanciullo facendogli discernere il bene dal male, & risguardare à tutto quello che ha da essere della vita sua. Nella adolescenza di Venere, che apporta facilita di conseguire, & apprendere le buone arti, le superficie allongandosi, & ristringendosi fanno il corpo bello, secondo che debbe essere per sempre; & nondimeno morbido, & delicato, si che non si può dire nè magro nè grasso, d’onde viene che la natura si risente, e si dona alla lussuria. In questa età il lume secondo genera una dolcezza grandissima, & ben corrispondente, & vaga all’occhio privandosi affatto de la dilatatione de’ lumi, mà tutta in se conveniente. Genera ombre soavi, & ferme; & cosi si veggono gl’occhi dolcemente adombrati, & il naso rilevato mostrar parimenti un’ombra dolce; & cosi le gambe, le braccia, e tutto il resto de’ membri; non altrimenti che fossero le veneri antiche di marmo. Nella gioventù sottoposta al Sole, nella quale concludono tutte page le operationi, & nasce quell’ardente desiderio d’honore, & di gloria per mezzo della virtù, scorrono i lumi con maggior forza, & si riducono à tutta quella perfettione che possano mai essere; non tenendo nè del crudo, nè del troppo dolce; anci resta tutto soave accompagnato da non so che di robustezza, & fermezza; si che i lumi, in alcuna parte restano alquanto più fieri, & questo per le superficie che sono poste in tutta quella perfettione, & grandezza che possano esser in alcuna età, lasciando adietro la dolcezza, & eminenza, & passando innanzi à trovare la crudezza, & concavità, si come comincia nella virilità dedicata à Marte; nella quale fatto già, & compito il corpo il calor della gioventú, si ristringe facendosi più acuto; & però entra in severita, terribilità, fortezza, mostrando tutta quella forza che possa mostrar dopoi ne habbi mostrato prima. Per questo ancora le superficie si ristringono intorno à i membri, & inalzandosi gagliardamente in una parte si abbassano in un’altra, per dove scorrendo il lume fà vedere le membra rilevate, & bene sporte in fuori, & mostrare i lumi per incontro l’ombre acute; d’onde ne risulta che maggior gagliardezza, o forza, non si può mostrare di quella. Nella vecchiezza, data à Giove i lumi si mostrano gravi, & pieni di Maestà, & grandezza, come si vede ne i Filosofi; & cosi all’incontro sono le ombre. Ilche avviene per le superficie prive di quella passione d’accrescimento, o di vigore, & non ancora crude, & concave fuor di ordine, mà poste in una qualità mezzana tra l’una è l’altra, si come é il desiderio in tale eta di ascendere, & d’imparare, & si come è il vigore naturale ch’ancor non si è partito; & perciò l’huomo all’hora del tutto si appaga, & si diporta con ragione gravità, & maestà. Mà nella decrepità conveniente à Saturno, perdendosi, la maestà, & il vigor naturale à poco à poco, ne nasce l’invidia, il fastidio, l’avaritia, l’odio, & simili affetti. Però le superficie, inalzandosi fieramente, & facendo angoli acuti, & linee chinate al basso, fanno che scorrendovi sopra il lume, si veggono certe luci acute contraposte da ombre oscurissime, che generano ne i riguardanti, melancolia, & tristezza: come ne gl’occhi che tutti restano oscurati dalle ciglia, & la bocca dal naso, e le mascelle da i meloni, & la fronte da i polsi, & successivamente gl’altri membri, & dalle parti più apparenti dell’ossa, le concavità de l’ossa scarnate, & basse; lequali cose tutte hanno corrispondenza con la tristezza, & melancolia, & fanno noia à vederle. Nell’infantia adunque conviene mostrar semplicità, & spargimento de i lumi; nella page pueritia semplice acutezza; nell’adolescenza, vaghezza; nella gioventu bellezza grave; nella virilità, gagliardezza, & animo, & nella vecchiezza gravità, maesta, & consideratione. Et questi sono gl’ordini che si hanno da tenere in dar i lumi, à tutte le superficie, secondo le diversità de i corpi, sempre riguardando alla parte superiore, & più eminente dell’altre, dove percuote più gagliardo il lume.

Qualmente i corpi vogliono havere se non un lume principale à gl’altri. Cap. XX.

HAbbiamo da sapere, che tutte le superficie quanto più saranno appresso alla luce tanto più riceveranno il lume; cosi d’alto come da basso, & cosi innanzi, come indietro, tanto alla destra, quanto alla sinistra; essendo di necessità ch’una sola maggior luce si riceva, e l’altre di grado, in grado; da basso, o d’alto, da destra, o da sinistra, davanti, o da dietro seguitino, & servano à quel primo lume, come à suo maggiore, che dà forza, & vivezza à tutti gl’altri. La onde veggiamo Michel Angelo haver [osserver] solamente osservato un lume principale nelle superficie più ad esso lume, & ne gl’altri di grado, in grado havergli minuiti proportionatamente. Il medesimo, mà con maggior ombra hanno osservato Leonardo Vinci, Raffaello d’Urbino, Gaudentio, & Cesare da Sesto nelle sue figure; le quali perciò hanno un rilievo mirabile, si che paiono nascer fuori dal quadro; & con loro Bernardino da Lovino, & molti altri; mà più grossamente. Per dar adunque forza, & rilievo à tutte le figure, bisogna reggersi con ordine sotto un lume solo maggiore di tutti gl’altri, iquali poi secondo la distanza, & lontananza loro si vanno perdendo; & tener questa regola, si come l’hanno tenuta i sopradetti pittori, & gl’altri, che perciò sono stati reputati degni del nome di pittore; perche sono stati cotanto parchi nel dar il chiaro; che non altrimenti che gemma pretiosa l’hanno distribuito nelle sue figure. Talche sono riuscite di tanta dolcezza, & rilievo, & cosi piene d’artificio, & consideratione, secondo la natura della cosa finta, & la ordinatione delle superficie; che più non nè può mostrare il naturale. Et che tutto ciò c’hò detto sin qui sia vero, si può chiarissimamente conoscere per il contrario dall’opere di quelli che hanno tenuto diversa maniera, & stile, formando le figure tutte allumate ad un medesimo modo; si che quasi niun rilievo vi si comprende; page mà paiono piane, & senza forza alcuna. Ilche espressamente si vede in quelle superficie levate da certi poco intendenti tolte di punto da le opere di Raffaello, & d’altri; nellequali non essendovi osservate queste regole, non si vede del tutto alcun rilievo, dove in quelle fatte di mano di saputi maestri, si vedono spiccate le membra per cagion di dette percussioni del lume, che nella parte più vicina ad esso tocca più vehementemente. Ilche si dee osservare in tutti i corpi, avvertendo sempre che si come le superficie si fanno più corte, quanto più s’allontanano dal nostro lume, cosi ancora il corpo quanto più perde il colore, tanto meno riceve il lume; & cosi và mancando tal colore, fin che non potendo per la vista nostra ricever più lume, manca insieme la superficie. Et questo s’intende universalmente di tutti i corpi. Et però s’hà d’avvertire di non far quegl’huomini sopra i monti, & in prati lontani, dove la luce nostra non può aggiungere per essere cosi picciole quantità, nelqual errore incorrendo quasi tutti i pittori di questa età togliono à le opere quella forza che si gli ricercarebbe, & fanno che paiono, come sono più presto pinte che finte, & fatte più per diletto, de’ goffi che per pasto, & nutrimento de gli intelligenti; la cui usanza và di giorno, in giorno avanzandosi tanto, & pigliando tanta forza, ch’io dubito che di nuovo la vera cognitione di quest’arte non si smarrisca, laqual è stata restituita, & ridotta in luce nell’età passata da tanti valenti pittori, con l’essempio dell’opere de’ quali io hò confrontato tutto quello, che circa à precetti di quest’arte ho raccolto in questi libri.

Come si diano i lumi à i corpi. Cap. XXI.

TUtti i lumi per regola generale, si danno à’ corpi secondo il luoco cui passano, & percuotono il muro ò la tavola dipinta; la quale dolcemente hà di riceverlo non altrimenti che se naturalmente lo ricevesse essendo di rilievo. Et vuolsi far con tal destrezza, che sempre il lume tocchi più tosto il corpo nella linea di mezzo, se la veduta, che si ha da terminare sarà compartita in cinque linee che fanno quattro spatij uguali in potenza. Ma’l pittore hà da fingere, ch’uno di questi quattro spatij si perda, & gli trè si vedano: & questi trè spatij che si dimostrano partirgli in quattro linee, mà uguali nel semicirculo che si vede in prospettiva, & poi fare che’l primo lume più acuto percuota sempre nella seconda linea, & in loco del secondo spatio allumato che seguendo si porrà page nella terza linea sia altretanta ombra che si veda, che cosi rilevara la figura mirabilmente, & di gran lunga più che se’l lume fosse per fianco nella prima linea, over sopra il mezzo nello spatio tra la seconda, & la terza; perche quella fà troppo ombra, & questa troppo luce. Però si darà il lume in tal luoco, si come la parte che dalla sua banda rende il corpo ombrato del suo Colore; & dall’altra scorrerà dolcemente, generando parimenti una ombra con certa soavità, & dolcezza, qual si vede nelle pitture di Leonardo, & d’altri, dove si vede che l’una figura non ombra totalmente tutta un’altra; eccetto se non gli fosse ristretta à canto nell’ombra sopra il piano. Ne i cieli, & nelle volte si piglia il lume dalle finestre; & è di necessità alle volte, & massimè nelle lunette pigliarlo nella prima linea secondo l’aspetto de i corpi fermi, & vivi, o per fianco ò per di sopra, o per da basso; secondo che come ho detto il corpo si volta verso il lume. Nelle lunette, o volte delle capelle, si piglia sopra le figure un primo lume finto, essendo quelle in scorto di maniera per via loro sono allumate; si come diremo ne gl’altri libri. Mà nel dar il lume alle figure, per tavole over [sacciate], o come si voglia, non si è astretto [cocome] ho detto ne i vivi, à pigliar il lume dal di sotto in sù, solamente questo ha luogo in quelle pinte nelle lunette di sopra al lume, tuttavia però che non sia Angelo che scendi dal Cielo, finto, aperto. o d’altra historia, che quivi sia riposta per finta. Perche questi lumi primari per necessita delle finestre od occhi, solo si aspettano à’ corpi che quivi si fingono esser veramente, che perciò si dimandano vivi, come sono termini, fogliami, cornicioni, fregi, & simili. Mà nelle facciate si hà da tenere questa via; cioè che mai il lume che si hà da dare à i corpi, non [fia] perpendicolare, sopra la testa loro; perche ne risultarebbe una sconvenienza grande, laqual sarebbe che le ciglia farebbero ombra sino à mezzo la mascella, & il naso fino al mento, & questa fino à mezzo il petto; & cosi havendo in testa un capello [sarebbe] ombra à tutta la faccia; & in somma tutte le ombre sarebbero intorno uguali; & sarebbe contrario al lume imaginato nella seconda linea; co’l quale si vuole accompagnare, & rendere un corpo allumato dolcemente. Bisogna adunque prima secondo l’altezza del corpo, imaginarsi il lume alto, come quello del Sole; mà che sia di quella larghezza; acciò che non s’incorra in quello errore d’alcuni che vogliono; che di sopra il corpo due o trè volte s’imagini un lume di cui i raggi si stendano. Laqual cosa è falsissima, perche page oltre che tosto voltarebbe il lume all’incontro; cotal lume si assomigliarebbe à una facella overo altro fuoco, che allumasse i corpi facendogli generar certe ombre lunghe diverse, come si vede ne i lumi de i fuochi accesi cagionarsi da i corpi. Ora il lume pigliato per alto, và imaginato essere di quà dalla figura, in modo che congiongendosi con l’ordinatione della seconda linea, sopra laquale hà d’allumare il corpo, ne venga à causar lume soave: ilquale scendendo sopra tutte le membra, quelle senza crudezza venghi à far rilevare nelle parti adesso lume opposte. Mà quella parte si chiama più propinqua nel corpo al lume, laquale per la prima spunta più in quà che l’altre, & massime, se è per d’alto. Perche quel lume è causa, si come quello che s’intende esser più gagliardo che le superficie ricevano esso lume fiero, cioè quelle che più vengono verso noi, & quelle che risguardano all’insù, & tanto più queste due lo pigliano fiero, quanto che più sono all’alto, perche sono più vicine al lume ordinato; & da questo si pigliano come da radice, tutti gl’altri lumi, iquali si spargono sopra tutti i corpi con ordine, & se gli da rilievo, reggendosi come ho detto, sotto un solo lume; ilche facendo non si daranno tanti lumi diversi l’uno dall’altro, come si vedono in que’ corpi che hanno il lume davanti; & poi nella parte dove debbe essere o spalla, ò fianco ombrato fanno scorrere per incontro un’altro lume, che gli scorre per fianco, & è chiamato ignorantemente riflesso ò sbattimento; & questa strada di pigliar dolcemente il lume da alto, mà non mai perpendicolare sopra i corpi è tale che dal sole al piede de l’huomo che si vuol rappresentare, si tira una linea, & dalla testa di esso huomo sin’ al piede, tanto spatio ha da essere dalla testa de l’huomo al traverso sin’alla linea che da’ piedi d’esso huomo al Sole è tirata, & da quello il corpo piglia luce, & con tal via si può tirare la grandezza del lume nell’huomo. Mà dovendosi rappresentare in lui con più corta prospettiva, la sua parte più propinqua alla luce nostra, o sia d’alto, o sia da basso, o dove si voglia ha sempre d’essere la più allumata; & per incontro hà da generare ombra più oscura, & poi secondo gli spargimenti che si perdono nella parte più allumata; & secondo quelle digradationi tanto si hà proportionalmente d’abbagliare la luce, & cosi disminuire le ombre. Nel che consiste tutta la forza, & grandezza de gli scorti, & volgimenti delle figure. Et di quà si conosce il valore de gl’intendenti, & pratichi dell’arte, mentre che dimostrano per questa via il rilievo nel piano, & in somma tutte le parti differenti, page di chiari, scuri, & abbagliati, & quasi del tutto annichilate. Mà tornando al lume che vien da alto quanta strada tennero molto gl’antichi, per far apparere perfetto, & gratiose le pitture, & le statue, come fà fede quella tanto celebrata anticaglia, del Pantheon di Marco Agrippa, dedicato à tutti gli Dei; che in cima pigliando il lume del Cielo, con dolce scorrere al basso comparte alle statove per le capelle dilettevol lume; facendogli risultare le membra con ordine soavissimo. Et questa usanza ritengono ancora quelli ch’intendono. Però da questo modo di dar lume, perche si piglia per dar gratia alle statove, è bisogno pigliar la regola del darlo à i corpi, che à questo modo non si cagionerà tant’ombra su’l piano delle figure, come fanno coloro che pigliando il lume poco più alto che le figure, vengono à causar sopra il piano un’ombra tanto lunga, quanto sono esse figure in piedi, & ancora più; come se’l lume gli fosse per Orizonte, facendo poi all’incontro ombrato sotto à gl’occhi, cosa che non può stare. Perche cosi senza alcuna ragione si servono di due lumi, uno alto & l’altro trecento volte più, & talvolta meno, & secondo che sono guidati dal caso e non dalla ragione. La sicura, & infallibil via adunque è che si pigli l’essempio naturale dal Sole, ilqual nel suo levare, mandando i raggi alle gambe, ci genera lunghissima ombra sopra il piano, allumando le parti di sotto, per ilche non veggiamo forsi alcuni sotto le ciglia; & poi inalzandosi di grado, in grado viene ad accorciarci l’ombra, & allumar le superficie superiori; mà non ci fà mai restar noi che l’habbiamo temperato senza ombra verso la parte di Settentrione, per la ragion che dicono gl’Astrologi, & misuratori del mondo; ilche non occorre à quelli à’ quali non è temperato, & hanno la sfera retta, & il lor Zenith nell’equinottiale, perilche di mezzo giorno tengono l’ombra sotto à’ piedi, per haver all’hora il Sole à perpendicolo sopra il corpo, mà quelli à quali si gli gira d’intorno à guisa di ruota l’ombra d’intorno intorno. In queste cose adunque bisogna considerare gl’effetti naturali migliori, e quelli imitare, & pigliarne essempio. E cosi ancora nelle facciate delle strade si dee fare, cioè pigliar il lume da Oriente per la radice della luce del Sole, che nascendo in quella parte genera ne i corpi l’ombra verso ponente, & nell’altre parti, secondo i suoi aspetti. Ilche fù sempre osservato da gl’intendenti, & si osserva ancora. Queste sono quelle ragioni de i lumi che hò possuto raccogliere, & osservare speculando, & praticando lequali hò fedelmente riferito. Egli è ben page vero che molte cose ci restano, mà sono tante minute che più presto sarebbe un confundere quel che se n’è detto. Et però chi desidera intendere di quest’arte de’ lumi, essamini bene ciò, che si è detto che vi trovarà tutta la sostanza, ancora che non sia descritta con stile cosi forbito, & terso per non richiederlo, ne manco admetterlo la difficoltà del sogetto, massimè nello stato in che mi trovo. Mà sarà per hora meglio che lasciando questi colori venga à dir alcuna cosa della sciografica, seconda parte della prospettiva che d’altro non tratta, che della ragione, & fondamenti delle ombre.

Della sciografica. Cap. XXII.

LA scienza sciografica è principalissima scienza, & è seconda parte della prospettiva, che considera con le medesime ragioni le ombre de i corpi, che si facci la grammica, per le linee vedute, alte, basse, mezzane, ponderando le cause loro i Principi, gl’elementi, le differenze, spetie, parti, & passioni essentiali, tuttavia rendendo le cause della varietà vedute delle imagini de le cose co’l mezo di distanze, lontananze, vicinità, siti, di sopra, di sotto, & à mezzo. Questa è adunque quella che insegnerà la ragione delle ombre; di cui molto sarebbe che trattare, se non fosse che trattando de i lumi, si è consequentemente anco toccato tutto quello che possono essere, & causar le ombre. Mà per non mancare di dargli il moto, co’l render le principali ragioni, secondo le trè viste reali, & vere della grammica, ne i corpi, Io quanto più presto me ne spedirò, non con lunghezza di parole, mà con chiarezza.

Delle ombre de i corpi, secondo la veduta anottica. Cap. XXIII.

IO non starò in questo luoco à disputare, ciò che sia ombra, perche sappiamo che tutti i corpi senza luce sono d’una medesima oscurezza à gl’occhi nostri, si che da loro mai non possono essere scorti, & veduti; mà spargendovisi poi sopra il lume, tanto quelli appaiono più lucidi, quanto più sono opachi, & densi. Et i corpi mostrano i suoi colori ancora per la luce. Onde vediamo che l’ombra tiene del colore del corpo, che è percosso dalla luce, [& &] non altrimenti; si che dove la luce è smarrita, è anco l’ombra, dove page è acuta, parimenti è l’ombra, dove è dilatata, dilatata è anco l’ombra, e finalmente dove sono appartati i corpi, il lume tende à quel medesimo, & al colore tende l’ombra. D’onde nasce che quante varietà di corpi si trovano, tante sorti di lumi, & altretante d’ombre si trovano. Mà per venir alle ombre sopra il nostro occhio, cioè nella vista anottica dico che quanto più si veggono le figure scortare, & le parti interiori inalzarsi, & quella abbassarsi che i lumi, & le ombre andando dietro alle linee, che tanto manco perde verso le parti superiori del lume si potrà vedere, & per incontro molta ombra vederassi, perche per le parti da basso vedendosi quel corpo quelle andando ombrate di necessità, & che vi siano in gran quantità, & chi facesse altrimenti fallerebbe di grosso, perche questa ragione delle ombre ad altro non serve che [ch] al regimento delle linee, & però secondo il loro voltarsi, situarsi, perdersi, & simili questa seguita, cresce, e cala secondo quelli per da basso, & per un lato si come il lume perda alto, & da l’altro lato e questa si intende per di sopra à l’occhio in tutti li modi per linea quadrante, mà passiamo à l’altra ombra della seconda vista.

Dell’ombre de i Corpi, secondo la veduta ottica: Cap. XXIIII.

PEr non perdersi ne scortar molto le linee al dritto o poco di sopra o poco di sotto della linea ottica, si causa che dolcemente, se non secondo l’acquisto che per di sopra si può far delle linee che nel corpo s’introducono; almeno per di sotto abbassandosi le parti anteriori, minor ombra si vede. Si che nel corpo secondo questa vista poca ombra si ricerca, fuori che per di sotto le membra, & la parte posteriore, il lume viene à render le parti posteriori allumate da’ riflessi del primo lume che percuote in parte quivi vicina. Mà molto più assai si veggono le ombre, & i lumi nella veduta anottica; perciò che per il volgimento delle membra vedute per di sotto della parte contraria al lume, si come quella che comincia à ritirarsi alla parte del lume superiore grandissimo riflesso si genera non altrimente che facciano i raggi che spande il sole prima che si levi sopra il mare. Perche queste regole, & osservationi del radiare son troppo difficili, & malagevoli ad essere esplicate chiaramente in scritto, farò grado à trattar dell’ultima vista reale.

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Dell’ombre de i corpi, secondo la veduta catottica. Cap. XXV.

NOn è modo o stato alcuno di corpi, che aspetti manco ombre di quello che si vede sotto à questa vista. Perche essendo egli veduto per le parti di sopra, si che quelle linee di dietro vengono ad inalzarsi; di necessità è, che apparendo il lume assai, le ombre scemino; & il più che sè gli [veggouo] è sopra il piano che molto occupano, & nella parte opposta al lume servendo sempre à lui cosi in questo come in tutti gl’altri stati, & viste dellequali troppo longo fora il ragionarne minutamente essendosi trattato de i lumi tanto che delle ombre si poteva tacere. Tuttavia non hò voluto lasciar di dirne questo poco nel fine del trattato, per essere ancor loro come coda de i lumi, poi che non possono essere parti posteriori, & basse di natura si melancolice, & triste che sino al Rè delle ombre la giù nel centro con loro si sdegna, & corrucia. Però non ne ragioniamo più à dilungo, cerchiamole solamente nelle opere nostre di farle apparere non come ombre, má si come pura materia della cosa che si alluma. Perche cosi servando faremo vedere i corpi netti puri, & dilettevoli à l’occhio per la lor naturalezza, fuggendo le tenebre de’ colori contrarij, come usano di far molti ombrando un scarlatto di negro, un giallo di taneto smorto, un turchino di bigio oscuro, & un bianco di colore ch’egli non può in verun modo ricevere per ombra quali sono di tutti i colori fuor che’l nero, che solo gli è vera ombra mischiata con esso bianco, per ilche in certo modo non è meno melancolico l’uno che sia l’altro; perciò che se’l nero sembra alla terra, & alle tenebre, quest’altro s’assimiglia al colore, di che veggiamo farsi gl’huomini quando moiono.

Il fine del Quarto libro

▼ Libro V